“L’uomo d’oggi ha bisogno di testimoni e non di lezioni cattedratiche”. Atto conclusivo su Luigi Sturzo

Atto conclusivo su Luigi Sturzo nell’Anno della Fede nella Diocesi di Castellaneta. “L’uomo d’oggi ha bisogno di testimoni e non di lezioni cattedratiche”. Con queste parole il vescovo della diocesi di Castellaneta, S.E. Mons. Pietro Maria Fragnelli, ha voluto sottolineare lo spessore della figura di don Luigi Sturzo, cui era dedicata la conferenza promossa dalla delegazione dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme di Castellaneta e, nello stesso tempo, evidenziare la proficuità degli incontri di formazione socio-politica, che hanno privilegiato il valore della testimonianza nel vissuto quotidiano dei laici, cristiani e non.
Nell’Anno della Fede e del 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, si è, appunto, tenuto presso la Sala Mons. Martino Scarafile al Centro Pastorale Lumen Gentium di Castellaneta l’incontro incentrato sul tema “Fede, società e politica in Luigi Sturzo, anticipatore del Concilio Vaticano II”. Dopo l’intervento di apertura del delegato dell’O.E.S.S.G., dott. Michele Recchia, ha preso la parola il prof. Vittorio De Marco, ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università del Salento, il quale ha evidenziato la complessità della personalità di don Luigi Sturzo ed anche la difficoltà di operare un aggancio diretto tra il suo pensiero e il Concilio Vaticano II. Ma tale difficoltà, a suo dire, viene rimossa nel momento in cui ci si sofferma sulla spiccata capacità di don Luigi Sturzo di saper cogliere lo spirito dei tempi, al punto da anticipare, con la sua vita e la sua testimonianza, alcuni aspetti del Concilio. Grazie alla sua esperienza di amministratore comunale, il sacerdote di Caltagirone prese coscienza che bisognava uscire dalle sacrestie e dialogare con quelle rappresentanze, quali le leghe e le cooperative, che avanzavano giuste rivendicazioni. La Chiesa, inoltre, non era ancora consapevole della necessità della militanza politica dei cattolici. Don Luigi Sturzo, al contrario, era fermamente convinto che la politica non era una cosa sporca, anzi era un bene, un atto di amore, e tante volte poteva essere un dovere. Il prof. De Marco ha voluto richiamare quello che viene definito il decalogo del buon politico, stilato da don Luigi Sturzo, che non costituisce una serie di aforismi ad effetto né può essere ritenuto un elenco di comportamenti utopici. A conclusione del suo intervento, il prof. De Marco ha ricordato la grande battaglia che don Sturzo condusse per la moralizzazione della vita pubblica.
Ha preso, quindi, la parola il prof. Antonio Panico, docente di sociologia sociale presso le sedi di Taranto e Roma della LUMSA. Il docente è partito da un confessato amore per don Luigi Sturzo, soprattutto per la sua capacità di incarnare le vere vesti del sociologo, che deve saper fare delle previsioni sociali. Per essere tale, il sociologo non si ferma a capire quello che accade, ma si sforza di fornire delle soluzioni. Per il docente, don Luigi Sturzo si è trovato a fare i conti con una Chiesa, che partiva dalla presunzione di costituire una “societas perfecta” e, come tale, si proponeva come modello da esportare. Don Luigi Sturzo, invece, non ha mai rifiutato il confronto perché è stato un sacerdote ed un uomo straordinariamente dialogante, al punto da non disdegnare il dialogo con i sindacati, i comunisti e i socialisti. Anche la Chiesa, secondo don Luigi Sturzo, aveva da guadagnare entrando in relazione col mondo. Condividendo un certo orientamento del prof. De Marco, il sociologo ha sostenuto che tanta parte del pensiero di Don Luigi Sturzo si ritrova nella Costituzione pastorale del 1965 “Gaudium et Spes”, nella quale si insiste, tra l’altro, sulla necessità imprescindibile dei laici cattolici di entrare nell’agone politico. Occorre assumersi le responsabilità per dare un contributo fondamentale alla costruzione del bene comune. Come ultima annotazione, il prof. Panico ha ribadito che don Luigi Sturzo non si è mai chiuso al mondo, perché il mondo non è ostile: è questa la premessa per capire lo sforzo del fare comunità. Non c’è nulla di positivo senza comunità.
A conclusione dell’incontro, Mons. Fragnelli, oltre il valore della testimonianza, ha posto l’accento sulla necessità di guardare le cose del mondo con occhio non miope. Non si va lontano con la cronaca spicciola; urge, invece, la dimensione lunga della storia. L’ultima annotazione il vescovo l’ha dedicata al fallimento derivato dall’ubriacatura degli ideologismi del ‘900, che hanno decapitato la dimensione verticale, riconducendo ogni cosa alla dimensione orizzontale, che tutto ha appiattito: “l’uomo senza Dio non è più uomo”.
Nella foto, da sx: Vittorio De Marco, Antonio Panico, Mons Pietro Maria Fragnelli e Michele Recchia

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy