Signor Presidente,
Le chiedo di perdonarmi se, come rappresentante di Società Aperta, mi prendo la libertà di rivolgermi pubblicamente a Lei per indicarLe quali aspettative il movimento di opinione che ho l’onore di avere fondato e di presiedere ha maturato dopo il voto del 24 e 25 febbraio. Non possiamo e non vogliamo suggerirLe il da farsi, ma la situazione è troppo delicata, anzi drammaticamente pericolosa, per non sentire il dovere di sottoporLe non solo il senso della nostra preoccupazione, ma anche una serie di puntuali valutazioni.
Infatti, solo chi fosse accecato dalla irresponsabilità, non può non vedere con turbamento due cose emerse dalle urne. La prima è che ben il 46% degli italiani aventi diritto al voto, oltre 21 milioni e mezzo di persone, alla Camera hanno espresso una clamorosa protesta opponendo una qualche forma di rifiuto all’attuale sistema politico e istituzionale – sia astenendosi, sia annullando la scheda o deponendola bianca nell’urna, sia infine votando per il Movimento 5 stelle di Grillo – lasciando così alla rappresentanza più tradizionale solo il restante 54%. Di questa quota, poi, il 21,4% è andato al centro-sinistra e il 20% al centro-destra, il 7,3% al Centro e 5,2% è andato disperso a liste che non hanno superato la soglia di sbarramento. Non c’è dunque bisogno di constatare la evidente mancanza di una maggioranza al Senato per evincere la seconda cosa che le elezioni ci consegnano: l’ingovernabilità. Ma ciò che moltiplica la nostra inquietudine è la reazione di assoluta insensibilità che la politica sconfitta – tutta nel suo insieme e ciascun partito individualmente – ha avuto dopo il voto. Il Pd che pretende di avere il diritto alla “prima mossa”, il Pdl che nasconde la perdita di oltre 6 milioni di voti dietro la presunta “rimonta”, il Centro che ignora la sua marginalità. Uno spettacolo che non può che preludere ad una ulteriore e più pesante punizione elettorale, non appena ce ne fosse l’occasione. E, da subito, un aumento di quello scollamento con il “paese reale” che è stato appunto all’origine della “protesta” dei cittadini.
Ora, Signor Presidente, Lei ha fin troppa contezza a quanti e quali pericoli ci esponga questa situazione per doverglieLi rammentare. Non più tardi di ieri sera l’agenzia Fitch ci ha declassati, portando il rating dell’Italia a soli tre gradini sopra il livello “junk”, mentre l’immediato rialzo dello spread, pur poi un po’ calmierato, fa temere che presto sui titoli del nostro debito possa scatenarsi una pressione speculativa non dissimile da quella dell’autunno 2011, di fronte alla quale Lei ebbe il coraggio – di cui tutto il Paese deve esserLe grato – di opporre una decisiva reazione.
Abbiamo apprezzato il tentativo del presidente della Bce Mario Draghi di minimizzare la portata della reazione dei mercati per evitare che si diffonda il panico, ma purtroppo quanto da lui evocato – “in Italia il risanamento va avanti con il pilota automatico” – non esiste. Inoltre, temiamo che il giudizio rassicurante di Draghi – “i mercati sono meno impressionati rispetto ai media ed ai politici dal voto italiano, perché capiscono che si tratta di democrazia” – vada interpretato nel senso che dell’ingovernabilità che da quel risultato è scaturita i mercati ne siano assai contenti, perché per la speculazione si aprono magnifiche possibilità di guadagno.
Inoltre, Ignazio Visco, seppure in colloqui riservati, ha sostenuto che i mercati ci avrebbero dato due settimane dal momento in cui si sono chiuse le urne, perché quello è il tempo massimo che in un paese normale s’insedia il nuovo parlamento e si elegge il nuovo governo. Ma noi, e Lei Signor Presidente lo sa, un paese normale non lo siamo mai stato, tant’è vero che di settimane ce ne vogliono tre solo per convocare le Camere, cui si deve aggiungere il tempo che occorre per formare i gruppi parlamentari ed eleggere i presidenti dei due rami del Parlamento. Cosa intendesse dire il governatore di Bankitalia è evidente: richiamare l’attenzione di chi ha in mano le sorti di questa drammatica partita, sul fatto che i mercati siano pronti ad attaccare i titoli del nostro debito pubblico non appena l’evidenza dell’ingovernabilità fosse conclamata. E ciò sia nel caso che si dovesse arrivare ad governo privo di fiducia – cioè che porterebbe ad elezioni subito e per di più senza avere la possibilità di modificare la legge elettorale – ma sia anche di fronte ad esecutivo senza alcuna prospettiva di durata. Non aspettano altro, perché dovrebbero rinunciarci?
Certo, altro sarebbe se ci fossero le condizioni perché accada quello che lo stesso Draghi ha auspicato: un programma basato su “un pacchetto di riforme da unire al consolidamento di bilancio in atto”. Ma è inutile, anzi pericoloso, abusare della speranza, trattasi con tutta evidenza di condizione inesistente. Non è una possibilità reale se andrà avanti la linea della cecità scelta dal Pd di Bersani – con il colpevole assenso (o assenza) di tutte le componenti interne – ma non lo sarebbe neppure se passasse il compromesso Pd-Pdl che noi di Società Aperta comunque auspichiamo considerandola come l’unica possibilità di evitare la catastrofe. Un governo figlio di quello che giustamente Massimo D’Alema ha chiesto ai suoi compagni di smettere di chiamare “inciucio”, con alla testa una personalità in grado di godere del consenso di entrambe le forze, sarebbe l’unica via praticabile per dare comunque una guida al Paese. Ma non possiamo francamente pensare che abbia altro orizzonte che una manciata di mesi davanti a sé. Tanto vale, dunque, prenderne preventivamente atto e varare un esecutivo a tempo, con due obiettivi oltre a quello prioritario di fronteggiare l’emergenza economico-finanziaria: fare una nuova legge elettorale, possibilmente di stampo europeo (modello tedesco o francese); convocare un’Assemblea Costituente per dar modo finalmente che le regole vengano riformulate in modo condiviso e nell’assise più consona ad un cambiamento epocale come quello di cui abbiamo bisogno.
Inutile credere che una cosa sin qui avversata dal segretario del Pd e vittima del ruolo oggettivamente “ingombrante” di Berlusconi, possa fare di più. Anzi, pretenderlo sarebbe il modo migliore per farla abortire in partenza. Ma se anche il governo di salvezza nazionale cui noi guardiamo non varasse quel “pacchetto di riforme” auspicato da Draghi, almeno avrebbe la possibilità di calmierare lo spread, in attesa di tempi migliori. In assenza di ciò, si metta già in conto che torneremo nella condizione del novembre 2011 e che sarà necessario chiedere l’aiuto della Bce e del Fondo Monetario.
Per questo, Signor Presidente, non possiamo buttare via tempo prezioso per esperire tentativi che non hanno chance, e che per di più sono pericolosi, come quello degli “otto punti” con cui il Pd insiste nel già fallito tentativo di incontrare la disponibilità, o anche solo la benevolenza di Grillo e dei “suoi” parlamentari. Si proceda senza indugio, dunque, a chiamare una personalità in grado di esperire il tentativo del “governo a tempo”. E siccome abbiamo già varcato la linea della prudenza, ci permettiamo di fare un altro passo – Lei ci perdonerà, è solo un modesto “memo” – indicando un nome che Lei, Signor Presidente, conosce bene: Pierluigi Ciocca. Culturalmente vicino alla sinistra, ma non organico ad essa, di solido pensiero azionista e di studi giuridici oltre che economici, dopo Paolo Baffi l’unico accademico dei Lincei a non essere professore ordinario, l’ex vicedirettore generale di Bankitalia ora in pensione potrebbe essere l’uomo fuori dalla mischia con le qualità giuste per tentare questa impresa tanto difficile quanto indispensabile.
Signor Presidente, i nostri destini sono ora più che mai “solo” nelle sue mani. La saggezza fin qui mostrata ci rende convinti che anche in questa “nebbia” – come Lei stesso ha definito la condizione in cui è costretto a muoversi – sappia trovare la strada giusta. Ed è facendo appello a questa sua saggezza, oltre che all’amore che ha dimostrato per la Patria, che aggiungiamo un’ultima preghiera: è indispensabile che Lei rimanga al Quirinale.
Con deferenza,
Enrico Cisnetto