Newsletter TerzaRepub​blica n.3 del 19 gennaio 2013

NEL 2013 ANCORA RECESSIONE
MA IN CAMPAGNA ELETTORALE
SI PARLA D’ALTRO.
ECCO LE PROPOSTE DI SOCIETÀ APERTA

Un altro anno difficile. Bankitalia pronostica che nel 2013 l’Italia perderà un ulteriore punto di ricchezza nazionale, portando il costo della recessione (dal 2008) a otto punti e mezzo di pil (al netto della ripresina del 2010-2011), qualcosa come 130 miliardi. La notizia è solo resa un po’ meno infausta dal fatto che si stima che nel secondo semestre comincerà una piccola inversione di tendenza, anche se lo scarto di otto decimi di punto con le previsioni (-0,2%) fatte dal governo fa temere che il primo atto dell’esecutivo che si formerà dopo le elezioni sarà – alla faccia delle promesse elettorali – l’ennesima manovra correttiva, probabilmente nella misura di 7 miliardi. Resa necessaria anche perché, vista l’emergenza occupazionale, ci sarà bisogno di rifinanziare gli ammortizzatori sociali che sono coperti solo per i primi mesi dell’anno. E c’é anche da tener presente che se a luglio si vorrà evitare che scatti il previsto aumento dell’Iva (dal 21% al 22%) ci troveremmo a dover coprire un ulteriore costo di circa 4 miliardi. Certo, molto dipenderà dallo spread, che con i recenti cali per ora consente risparmi intorno ai 10 miliardi in due anni.

In questo quadro, occorre che le forze riformatrici presenti nei diversi schieramenti politici prendano coscienza che occorre immaginare fin d’ora strumenti straordinari per affrontare e vincere la recessione. Per questo noi di Società Aperta lanciamo una vera e propria provocazione, dicendo che una condizione non rinunciabile per avere il nostro voto il 24 e 25 febbraio è quella di farsi promotori di una proposta di politica industriale che abbia il coraggio di rompere il tabù della presenza pubblica nell’economia. A nostro giudizio, infatti, per generare nuova crescita occorrono tre cose: un nuovo modello di sviluppo, che indichi quale ruolo potrà svolgere nei prossimi anni l’Italia nell’economia globalizzata, una politica industriale, che quel modello metta in atto, e degli strumenti operativi, di cui il principale non può che essere la creazione di un istituto che, come l’Iri negli anni Trenta e dopo la guerra, sia il volano di investimenti sia infrastrutturali che manifatturieri.

Naturalmente, escludiamo di dare il voto a chi, a destra come a sinistra, sia privo di cultura di mercato e quindi colga la nostra proposta in chiave statalista e assistenziale. Ma il vero problema è fare in modo che anche i riformisti e i moderati capiscano che la straordinaria moria di aziende cui abbiamo assistito – e che ha prodotto oltre mezzo milione di disoccupati in più, una quantità record di ore di cassa integrazione e la demoltiplicazione esponenziale delle possibilità dei giovani di trovare lavoro – non dipende solo dalla doppia crisi finanziaria (prima quella mondiale, poi quella europea) ma anche e soprattutto dalle conseguenze del processo di integrazione globale delle economie, e dunque non è destinata ad esaurirsi con la ripresa internazionale. E che, di conseguenza, ad essa non si può rispondere con politiche “normali” basate su logiche conservative.

I dati sull’export dimostrano che il capitalismo italiano è di fatto abbarbicato ad un gruppo di imprese straordinarie che hanno conquistato i mercati nel mondo, ma che per numero e dimensione (il nostro export non è neppure un terzo del pil) non possono reggere sulle loro spalle un paese che fa 1500 miliardi di pil e ha costi (debito in testa) tarati per duemila. E non basta sperare nella ripresa dei consumi interni. Primo perché con il solo auspicio non ripartiranno, e poi perché comunque strutturalmente dobbiamo convertire una parte cospicua del pil dalla dimensione interna a quella estera, cosa che si può fare solo rafforzando la nostra capacità esportativa (giusto l’obiettivo del ministro Passera di passare da 470 a 600 miliardi entro il 2015).

Se a questo si aggiungono almeno altre tre necessità imprescindibili – aumentare notevolmente la dimensione media di tutte le imprese; trasformare il turismo in una vera industria; modernizzare le infrastrutture materiali e immateriali – risulterà chiaro anche ai ciechi che il nostro capitalismo, tanto dal lato della manifattura quanto da quello dei servizi, deve essere sostanzialmente ripensato. C’è dunque bisogno di un modello cui tendere, di una strategia (la politica industriale) e di investimenti. E chi oggi ha la disponibilità di denaro necessaria (e altra gliene si può far affluire, se si converte spesa pubblica corrente in spesa per investimenti e se si mette a frutto il patrimonio dello Stato) se non la Cassa depositi e prestiti? D’altra parte la Cdp si è già mossa nella giusta direzione, direttamente e attraverso strumenti ben gestiti come Simest, Sace e il Fondo Strategico, e indirettamente con la partecipazione in F2i, il fondo guidato da Vito Gamberale. Soggetto che più di tutti (e spesso in splendido isolamento) ha lavorato in questi anni per razionalizzare alcuni settori strategici, dalle infrastrutture di trasporto (aeroporti, autostrade, interporti, terminal ferroviari) alle reti (elettricità, gas e acqua, tlc) passando per le energie rinnovabili, e che ha titolo per essere player decisivo nella costruzione del nuovo capitalismo.

Ma c’è un tabù ideologico che impedisce di fare il salto verso la creazione di una holding di partecipazione, nonostante che per statuto Cdp non possa fare salvataggi e quindi tutte le ansie di chi teme la creazione del carrozzone pubblico salva aziende decotte siano infondate. Anche perché, come abbiamo cercato di spiegare, la filosofia non deve per nulla essere quella di conservare l’esistente.
Nulla di tutto questo si parla in queste ore di campagna televisiva? Beh, almeno se ne parli dopo le elezioni, se la campagna elettorale induce, come al solito, ad usare i polmoni a danno del cervello.

Analisi e commenti

Sindacati “choosy”
Nel panino è finita una polemica sbagliata
McDonald's assume 3000 persone. Ma a qualcuno questa cosa non piace..
Enrico Cisnetto
18-01-2013
Leggi

Il nuovo redditometro
Fisco con metodo Stasi. Controproducente
Un provvedimento che non farà altro che scavare un solco ancora più profondo fra cittadini e istituzioni
Massimo Mario
18-01-2013
Leggi

Verso le elezioni
Sadomaso elettorale
La scena suggerisce che se il sistema istituzionale ha bisogno di un lavacro di riforma costituzionale, i protagonisti che lo animano hanno bisogno di una qualificata assistenza psicanalitica.
Davide Giacalone
18-01-2013
Leggi

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy