Mali (intesi) alla francese

Di Carlo Di Stanislao

Da quattro giorni in Mali si combatte una guerra che potrebbe trasformare il Paese in un Afganistan africano.
Il punto sulla situazione lo ha fatto il ministro francese della difesa Jean-Yves Le Drian, al termine del Consiglio di difesa all’Eliseo, conclusosi solo poche ore fa.
“La situazione evolve favorevolmente”, ha detto Le Drian, confermando però che essa non è ancora stabilizzata o almeno non lo è dappertutto: i gruppi islamisti hanno ripiegato nella parte orientale del Paese ma, l’area occidentale, ha ammesso il ministro, resta “un punto difficile”.
Le truppe e l’aviazione francese sembrano procedere vittoriosamente, ma adesso la situazione si è capovolta, con una vigorosa controffensiva dei jihadisti legati ad al-Qaeda, che dopo tre giorni di pesanti bombardamenti dei caccia francesi sulle roccaforti islamiste nel desertico nord del Paese; rispondono sul campo e minacciano attentati “al cuore” della Francia, promettono di impegnare Parigi in una lunga e brutale guerra sul terreno.
L'Ecowas, l'organismo che riunisce 15 nazioni dell'Africa occidentale, ha convocato per venerdi' un vertice straordinario, ad Abidjan. A ottobre una risoluzione dell'Onu gli diede l'incarico di allestire una missione militare composta da circa 3.300 uomini. Dopo l'intervento francese, Niger, Senegal e Burkina Faso si sono impegnati a inviare 500 soldati ciascuno, altri 300 saranno messi a disposizione dal Togo; mentre la Nigeria,, azionista di peso dell'Ecowas, garantira' un battaglione composto da 600 militari.
La Nato invece ha fatto sapere che sostiene gli sforzi francesi ma che l'Alleanza non ha ricevuto richiesta alcuna di assistenza.
Comunque, le agenzie di stampa, ci dicono che nelle ultime ore gli jihadisti hanno conquistato Diabaly, una citta' a 400km da Bamako e all'interno della zona controllata dal governo maliano appoggiato dalla Francia, mentre, deciso a mettere fine alla dominazione islamista nel nord del Paese, il governo del presidente, Francois Hollande -appoggiato, secondo un sondaggio, da sei francesi su dieci (piu' di quelli che sostennero all'epoca l'intervento in Afghanistan)- va avanti ed ha inoltrato una richiesta di un intervento del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che si riunisce oggi, con la Cina che ha gia' condannato l'offensiva militare dei 'gruppi rivoluzionari” e anche la Russia che ha detto che l'offensiva militare francese e' legittima, pur augurandosi che sia temporanea.
Nel pomeriggio e' prevista anche una riunione della 'piattaforma di crisi' sul Paese africano in seno all'Ue.
Come scrive il Corriere della Sera, la paura che il Mali possa trasformarsi in un califfato islamico agli ordini di Al Qaeda ha indotto anche la Gran Bretagna a scendere al fianco dei francesi, mentre su Lettera 43 Barbara Ciolli immagina che il Mali possa diventare come la Libia e il deserto del Sahel come l'Afghanistan dei talebani, con, come contro il colonnello Muammar Gheddafi nel 2011, il premier inglese David Cameron che si è unito alla battaglia dell'Eliseo contro i qaedisti, mettendo a disposizione aiuto logistico e droni spia, come già avevano fatto gli Usa.
Sono in molti a sostenere che l'attacco francese in Mali è quasi un appendice inevitabile alla guerra di Libia, dopo la caduta del raìs che fu il guardiano e il manovratore delle dittature sub-sahariane, per stroncare sul nascere il nuovo impero del male sulle macerie della millenaria Timbuctu.
Inoltre vi è la questione non di poco conto de l’uranio e del petrolio,vera motivazione che avrebbe spinto il presidente socialista a muoversi, anticipando l'Onu, dopo che, nei mesi di trattative fittizie con le fazioni estremiste, era già stato perso troppo tempo. Dal Nord del Mali, controllato dai tuareg jihadisti di Ansar Dine e da al Qaeda nel Maghreb (Aqmi), l'offensiva integralista puntava, verso la capitale meridionale Bamako, rischiando di allargarsi rapidamente negli Stati confinanti: il traballante Burkina Faso, la Mauritania ma, soprattutto, il Niger dei preziosissimi giacimenti di oro grigio e per questo anche Le Monde scrive che l’intervento armato è, a ben vedere, “il male minore”.
Con il proliferare dei qaedisti e l'abbondanza di armi depredate dagli arsenali di Gheddafi, questa area rischia di riesplodere in modo ben più violento delle guerriglie controllate degli scorsi decenni. Mettendo a rischio il nuovo impianto di Imouraren e le altre due miniere che Areva controlla nella regione di Agadez. In ballo, ci sono le forniture di combustibile per almeno un terzo delle centrali di Électricité de France (Edf), la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia.
Ma anche, per esempio, i delicati rapporti di partnership che Parigi, suo malgrado, per calmierare gli appetiti, aveva intessuto con i cinesi della China national nuclear corporation (Cnnc), pronti a entrare, entro febbraio 2013, nell'azionariato della Imouraren con il 10% (al momento, il 57% è di Areva, il 33% dello Stato del Niger e il 10% della sudcoreana Kepco).
Dopo il fiasco del raid per liberare l’ostaggio francese prigioniero dei guerriglieri shebaab in Somalia, conclusosi con la sua morte e quella di due incursori, Le Drian teme una “macabra messinscena” sui cadaveri ed una perdita di credibilità da parte della Francia sul piano internazionale, dopo la debacle interna della “supertassa per ricchi”, che ha colpito al cuore la politica economica del nuovo governo francese, con sentenza della la corte costituzionale che l’ha bocciata in quanto non coerente con i principi del “Coefficiente famigliare” applicato oltralpe.
Un errore da studentello di diritto, non da statista, di per sé sufficiente a menomare una figura già claudicante, resa incerta dalla presa di posizione di Depardieu: corpulento e sanguigno attore che nelle sue opere ha rappresentato le figure più conosciute della letteratura francese, da Cyrano de Bergerac a Jean Valjean, il quale, scandalizzato per l’applicazione della nuova aliquota del 75% ai redditi superiori ad un milione di euro, ha rivestito le vendicative vesti di Edmond Dantès, il Conte di Montecristo, per lanciare un’invettiva contro il governo francese e quindi prendere residenza nell’ospitale e vicino Belgio. Non contento di ciò l’attore ha chiesto “Asilo Fiscale” alla Repubblica Federale Russa, un tempo parte del socialismo sovietico, il cui presidente Putin ha colto la palla al balzo per concedergliela. Anzi il suo primo ministro si è concesso una sorta di lezioncina di economia per il collega francese, affermando che il sistema fiscale “Flat” con unica aliquota ed esenzione per i redditi bassi è ottimo e non sarà cambiato.
Nonostante questo Hollande si è detto pronto a ripristinare la norma, con aggiustamenti minimi, presentando una cocciutaggine che ne mette in forte dubbio l’intelligenza. E adesso non può permettersi errori soprattutto nella politica estera.
Per inciso momenti di difficoltà la Francia ne sta vivendo molti e di genere non solo politico in questi giorni. E’ di queste ore la notizia che il famoso quadro realizzato da Fragonard intorno al 1769, noto come ritratto di Diderot e conservato al Louvre, in realtà rappresenta il volto di un perfetto sconosciuto, sicché il celebre museo parigino ha dovuto provvedere a modificare in catalogo la legenda del quadro che, inoltre, sarà esposto nella nuova e più appartata succursale di Lens.
Tornando al Mali, la situazione è degenerata dal colpo di stato militare del 22 marzo scorso, guidato dal capitano Amadou Sanogo, con successiva insurrezione della minoranza Tuareg e migliaia di rifugiati che si riversano nei paesi limitrofi, soprattutto Burkina Faso e Mauritania.
Come scriveva mesi fa su Eurasia Francesca Dessì, la distruzione dei mausolei di Timbuctù, considerati patrimonio dell’umanità dall’Unesco, la liberazione di Rosella Urru, la cooperante rapita dal gruppo islamico Mujao, lo spauracchio del “terrorismo” e dell’“estremismo islamico” hanno acceso i riflettori internazionali sul Mali, un Paese da tempo spaccato in due: il nord in mano ai ribelli islamici, il sud ad un governo di transizione nato dopo un golpe militare. La situazione attuale è frutto di anni di malgoverno, di corruzione, di ingerenze straniere e degli effetti del colonialismo e del processo di decolonizzazione che tanto male ha fatto all’Africa. Inoltre, la lotta dei tuareg che tanto ha affascinato l’immaginario comune nasconde non poche incognite sui finanziamenti e la fornitura di armi, tenendo conto che in Africa c’è sempre chi alimenta e sostiene i conflitti “etnici” o “religiosi” o “indipendentisti” per trarne dei vantaggi.
E’ importante ricordare a questo punto, che il nord del Mali è ricco di giacimenti minerali non ancora sfruttati, in particolare uranio e petrolio.
Sin dallo scorso aprile si mise in evidenza come France 24 e Rfi fossero gli unici due media internazionali che diffondessero con assiduità i comunicati della ribellione del MNLA, mettendo in cattiva luce il governo dell’allora presidente del Mali, Amadou Toumani Touré, deposto il 22 marzo da un golpe militare.
Compito abbastanza facile infangare il governo di Bamako: Touré e i suoi ministri si sono intascati milioni di dollari del Fondo Monetario Internazionale che erano destinati alla lotta contro l’Aids. Corrotti fino al midollo, i politici maliani sono coinvolti nei traffici di armi, di droga e di esseri umani che infiammano la regione del Sahel. Inoltre, i primi sospetti ricaddero su Parigi, in quanto il presidente Touré si inimicò l’allora capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy, disapprovando la missione in Libia e rifiutando alcune sue proposte tra cui quella di installare una base militare francese nella città di Sévaré, nonostante la Francia abbia già ben tre basi militari nel Paese: a Bamako, a Gao e Tessalit, quest’ultima considerata strategica.
E col governo socialista di Hollande, pare che la solfa (fatti di malintesi) non sia affatto cambiata.

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