Violenza contro le donne: i paesi “civili” non sono i più lontani dal reato.

Leggo: “Nella sola Nuova Delhi si sfiorano i due stupri al giorno, contando solamente quelli denunciati; oltre il 90 per cento degli stupri avviene entro le mura domestiche e coinvolge famigliari stretti delle vittime.” Eppure, tra i paesi più colpiti dal fenomeno del nord d’Europa, America ed Asia, abbiamo la Svezia, che già nel 1979 presentava un tasso di 11,1 per centomila abitanti, mentre l’Italia, nel 1977 “se la cavava” con una percentuale di 1,8 per centomila abitanti. Ancora oggi la stessa Svezia è quarta, dopo l’Australia con 792, il Canada con 733 e gli Stati Uniti con 301. Il tasso d’incidenza in Svezia è pari a sei volte l'Italia. Tra le ragioni che potrebbero spiegare la presenza di devianze sessuali in territori ricchi dal punto di vista economico e culturale (anche se, per gli Stati Uniti, estremamente variegato dal punto di vista della tipologia degli abitanti), pare sia importante il tipo di religione professata. In pratica, laddove esiste una religione più liberale, ossia di tipo protestante, troverebbero maggiori possibilità d’espressione le devianze sessuali, mentre l’Italia, invece, massimamente Cattolica, risentirebbe in positivo di religioni con tradizioni di tipo moralistico a tutto vantaggio di un sistema di vita sessuale più civile. La violenza è un pericolo per la salute ed è sommersa: non dimentichiamo che la violenza contro donne e ragazze è vettore e conseguenza tra i più importanti nella diffusione dell’HIV/AIDS , fatto poco contemplato, in genere e che non è facile riportare dati ufficiali del fenomeno in quanto si tratta di una realtà che resta in gran parte nascosta, in conseguenza di culture e società che non la riconoscono come una violazione e un abuso.
Gli studiosi affermano, infatti: “Nella mentalità maschile, la violenza carnale è associata più all’idea di piacere sessuale che a quella d’aggressione. Lo stupro non viene percepito come un crimine ma nella maggior parte dei casi come un atto benigno, la cui gravità, per altro, è invariabilmente contestata dal colpevole”.
Quando si parla di violenza sulle donne, la prima immagine che compare alla coscienza è quella della violenza sessuale, che per anni è stato definito come “congiunzione carnale violenta”. Si definisce “violenza sessuale” quando una persona è costretta a compiere o subire atti sessuali mediante violenza, minacce o abuso d’autorità, oppure approfittando del suo stato d’inferiorità fisica o psichica, o ancora quando il colpevole inganna la vittima della violenza sostituendosi ad un’altra persona. Ma, sotto il profilo morale e legale il concetto di “Violenza sessuale” assume tutta una serie di sfumature che vanno dal fare battute e prese in giro a sfondo sessuale, fare telefonate oscene, costringere ad atti o rapporti sessuali non voluti, obbligare a prendere parte alla costruzione o a vedere materiale pornografico, stuprare, rendersi responsabili d’incesto; costringere a comportamenti sessuali umilianti o dolorosi, imporre gravidanze, costringere a prostituirsi.
Prima del 1996 (!) tutte le donne che hanno subito violenza non sono state in grado di difendersi legalmente com’è possibile invece oggi, laddove la nuova normativa ha introdotto un’importantissima modifica: la violenza sessuale non è più classificata difatti tra i reati contro la moralità pubblica, ma contro quelli che colpiscono la libertà personale.
Sembra logico, ma sono stati necessari anni ed anni di lotte, anche da parte delle associazioni costituite per la difesa dei diritti delle donne, per cui in molti casi è ammessa anche la possibilità di costituirsi parte civile nei processi per stupro.
Occorre sottolineare che la denuncia dell’avvenuta violenza rappresenta già di per sé, da parte della donna, un atto di coraggio, perché in molti casi la vittima in prima persona, o la famiglia per lei, preferisce far passare l’episodio sotto silenzio, allo scopo di evitare i molti problemi che nasceranno dal fatto di condurre in pasto al pubblico un’esperienza che la donna percepisce come dequalificante ed altamente offensiva per la propria personalità. Non stupiamoci, in una ricerca condotta da G.B. Traverso e F. Carrer appare un dato eclatante: le tavole mostrano la distribuzione percentuale dei soggetti prosciolti sul totale dei giudicati in Italia per reati sessuali tra il 1968 ed il 1973, che passano da un minimo di 63,0% di prosciolti per il 1971 ad un massimo dell’80,4% per il 1973. La formula principale di tale proscioglimento è: “Perché il fatto non sussiste”- e “Per non aver commesso il fatto”. Affermano gli autori dello studio: – “Tali risultati sono in accordo con molte altre ricerche le quali mettono in evidenza che, sebbene le violenze carnali siano spesso premeditate e comportino un elevato grado di violenza nei confronti delle vittime, pochissime persone risultano, in effetti, formalmente imputate e giudicate per tale reato ed un numero di gran lunga inferiore viene condannato e sconta in carcere una pena adeguata”, inoltre la letteratura scientifica italiana si distingue per la spiccata carenza di studi criminologi statistici sulla violenza carnale”.
Si potrebbe anche supporre, però, tenuto conto del particolare momento psicologico vissuto oggi dall’uomo, nei confronti di una società di donne evolute, che sembrano a volte voler prendere il sopravvento morale, se non quello materiale, sulla parte maschile della società, che il maschio possa, inconsciamente, provare soddisfazione nell’imporre alla donna, con un atto sessuale il cui godimento non è condiviso, la sua inalterata capacità di dominio fisico, che, ovviamente, si traduce con la violenza stessa, in una forma di sottomissione psicologica.
La violenza assume per la donna tutte le caratteristiche di un attentato alla personalità individuale e lascia l’impronta grave di uno stato di sottomissione imposto, che rende difficile per la vittima il recupero della propria fisionomia mentale d’essere civile sessualmente libero delle sue scelte. La donna violentata percepisce nella violenta imposizione del maschio un’aperta violazione ai suoi diritti di autonomia psicologica e morale, che, nel corso dei decenni, la parte femminile della società sta tentando di raggiungere con ogni mezzo, spesso anche con l’ausilio della parte maschile evoluta e sana di detta società. A causa della percezione soggettiva dell’atto sessuale (che per il maschio è fonte di piacere e come tale viene inteso evidentemente anche per la donna che vi partecipa), si può desumere che lo stupratore, il quale abbia “soltanto” imposto con la forza e senza percosse, la consumazione di un atto sessuale ad una donna reticente o non pienamente coinvolta, non percepisca su di sé alcuna colpa, ma, al contrario, la rigetti sull’elemento femminile che, prima turba le coscienze ed i sensi e poi si trincera su inammissibili posizioni di rifiuto.
L’età media degli aggressori si pone tra i 13 ed i 26 anni, mentre quella delle vittime tra i 14 ed i 22 anni. Il decremento annotato oggi nel numero delle violenze sessuali può essere spiegato con la maggiore libertà sessuale, la crescita culturale, l’importanza che la stampa ha dato all’argomento e l’interesse suscitato per la problematica dalle organizzazioni femministe.
La violenza sulle donne è però spesso racchiusa tra le mura di casa e sopportata come un dovere, se proviene dal coniuge, dal genitore, da un fratello e spinge inoltre all'isolamento, all'assenza di comunicazione e di relazioni con l'esterno, alla perdita di relazioni amicali.
Occorre infine drasticamente ricordare che la violenza risulta essere la prima causa di morte e d’invalidità per le donne tra i 15 e i 44 anni. Si muore dunque più di violenza, nel mondo femminile, che di cancro, d’incidenti stradali e persino, se coinvolti, di guerra.

Bianca Fasano

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