Newsletter TerzaRepub​blica n.51 del 28 dicembre 2012

Sì, è vero, l’agenda Monti, ha molte ombre: è troppo generica (Zingales), per i servizi pubblici è tardo-statalista (Alesina-Giavazzi), sulle tasse è poco coraggiosa (Giacalone), manca di una visione dello sviluppo capace di fare appello alle forze vitali della società (Berta). E si potrebbe anche andare oltre a queste osservazioni, magari per strade diverse, e rincarare la dose osservando che il documento programmatico si attarda a considerare l’azzeramento del deficit e la sua costituzionalizzazione una conquista (e non lo è) mentre sul debito si limita a sperare che se lo mangi l’avanzo primario (peccato che gli oneri sul debito stesso non lo consentano) e al massimo concede che dal 2015 sia messa in atto la strategia europea che vuole una riduzione dello stock eccedente il 60% del pil nella misura di un ventesimo all’anno. Così come si potrebbero aggiungere critiche sulla povertà delle proposte intorno alla dismissione del patrimonio pubblico non produttivo e alla riduzione della spesa pubblica corrente (da riforme strutturali su decentramento e sanità, non da spending review) e la conversione di queste risorse in investimenti finalizzati all’ammodernamento delle infrastrutture materiali e immateriali e all’allargamento della base industriale. Nell’agenda Monti – e questo è rimprovero di segno opposto a quello che si è levato dagli ultrà liberisti – non c’è alcun riferimento alla politica industriale, che invece è strumento decisivo per un paese affetto da grave deindustrializzazione (auto, acciaio) e da altrettanto grave non industrializzazione (ci mancano molti dei settori ad alta tecnologia), oltre che da nanismo imprenditoriale. Mentre non c’è bisogno di sposare le tesi di Krugman per capire che è sbagliata l’idea che si possa risolvere il problema dello sviluppo, specie di un paese come l’Italia che ha smesso di crescere da 15 anni, solo attraverso la riforma del mercato del lavoro e le liberalizzazioni (pure entrambe più che necessarie).

Tutto vero: nell’agenda Monti ci sono luci e ombre, e forse le seconde prevalgono. Ma, non sembri paradossale vista il profilo tecnico del Professore, l’importanza di quell’agenda non sta nelle indicazioni programmatiche che offre, bensì nell’intento politico sottostante: rompere una volta per tutte il bipolarismo italico, cioè quella forma politico-istituzionale (chiamata impropriamente Seconda Repubblica) che ha fatto precipitare l’Italia nella crisi ben prima che arrivasse, aggravandola, quella mondiale ed europea. Sì, proprio quella scelta che ha indotto Panebianco a definire come il tradimento della possibilità di arrivare ad un bipolarismo maturo, cui ancora una volta l’editorialista del Corriere della Sera guarda come un innamorato deluso (fattene una ragione, Angelo, in Italia non è praticabile e comunque evocarlo ha giustificato per vent’anni l’esistenza del “bipolarismo reale”).

Si obietta: ma se Monti propone una selezione dell’offerta politica basata sui contenuti e chiede agli elettori di abbandonare i vecchi riflessi condizionati di schieramento, come si può poi valutare la sua “agenda” sul piano politico anziché su quello programmatico? Risposta duplice. Prima di tutto, qualunque programma cammina sulle gambe delle forze che intendono realizzarlo, e la definizione di chi sono questi soggetti, quale peso abbiano e in quale sistema giochino la loro partita è cosa propedeutica al programma stesso. Secondo: non può sfuggire a chi ha (giustamente) questionato sulla perduta supremazia della politica – anche se essa era già andata perduta con l’avvento dei partiti padronali, e non certo per colpa del governo tecnico – quanto sia prioritario l’obiettivo di costruire un nuovo sistema politico, visto il fallimento di quello esistente. Fallimento acclarato proprio dalla necessità di ricorrere ad un governo “tecnico”, tale non perché composto da specialisti (in molti casi non sono, o si sono rivelati di scarsa qualità) ma perché terzo rispetto al sistema politico. Pensate forse che fossero i programmi fallaci di Prodi e Berlusconi (tanto sulle questioni cruciali era l’Europa a scegliere) ad aver impedito loro di governare, o prima di tutto era il sistema politico e istituzionale a non essere il giusto strumento per selezionare buona classe dirigente e metterla in condizione di decidere?

Dunque, l’agenda Monti, pur con le evidenti lacune programmatiche, è “politicamente” efficace per cominciare a metterci alle spalle la fallimentare stagione della forzosa contrapposizione tra berlusconiani e anti-berlusconiani, a sua volta premessa indispensabile per aprire la stagione della Terza Repubblica. Storia certo ancora tutta da scrivere – e che probabilmente richiederà altri protagonisti e una successiva legislatura se, come probabile, la prossima sarà assai breve – ma che prevede necessariamente che sia definitivamente archiviata quella attuale. E questo perché la “salita in campo” del Professore – anche se in modo indiretto, purtroppo – rende l’offerta politica a disposizione degli italiani almeno parzialmente diversa rispetto a quella della vecchia contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra. La quale, se non ci fosse stata la “interferenza” di Monti, si sarebbe già sintonizzata sul solito schema “Berlusconi sì, Berlusconi no”, come dimostrano le intemerate del Cavaliere e l’atteggiamento di Bersani. Lo scenario offerto da Pdl e Pd, infatti, è desolante. Da un lato, Berlusconi redivivo (ma solo i tordi avevano creduto che volesse davvero lasciare) ha immediatamente fatto rientrare nei ranghi quasi tutti, a cominciare da quelli che si erano presi la libertà (sic) di criticarlo (proprio perché lo credevano out), e ridotto Alfano (ove mai) a un surrogato di segretario politico. Dall’altro lato, scomparso Renzi (non ce ne voglia, ma lo avevamo pronosticato), Bersani è alle prese con due titaniche imprese: vincere anche al Senato (il 54% dei seggi alla Camera sono già suoi), nonostante che i sondaggi più seri (e riservati) gli dicano che può contare al massimo su 145 senatori (13 in meno di quel che serve); nel caso ce la faccia ad avere la maggioranza numerica in entrambi i rami del Parlamento, trasformarla anche in una maggioranza politica stabile (quello che non è riuscito a Prodi, D’Alema e Amato).

Non a caso, come ha acutamente osservato Mario Sechi in una serie di editoriali sul Tempo, “B&B” hanno e coltivano interessi coincidenti, dalla legge elettorale (che hanno voluto mantenere pur facendo finta di darsi reciprocamente la responsabilità del mancato cambiamento) all’offerta politica bipolare. Entrambi, Berlusconi e Bersani, stanno disperatamente cercando di fare campagna elettorale scontrandosi tra loro (“evitiamo che vincano i comunisti”, “scongiuriamo il ritorno del puzzone”), con il comune obiettivo di esorcizzare la vera novità delle prossime elezioni: l’anti-bipolarista Monti. Non è detto che ci riesca, ma è l’unica chances. Giacalone la mette così: bisogna fare in modo che non vinca nessuno, perché è l’unico modo per seppellire definitivamente la Seconda Repubblica. Giusto, visto che Monti si è precluso la possibilità di vincere rinunciando all’unico sistema che glielo avrebbe potenzialmente consentito: partire prima delle primarie del Pd (Renzi sarebbe stato obbligato ad andare con lui) e della riapparizione di Berlusconi, mettendo sul piatto le dimissioni da senatore a vita (che in tempi di anti-politica avrebbe fatto la differenza). Ora il Professore può solo impedire la vittoria della sinistra e rendere marginale il Pdl, ma nelle condizioni date non è certo cosa da poco.

Ricolfi pensa che la differenza la farà la scelta del Centro tra una lista unica o l’apparentamento di più liste, suggerendo la seconda ipotesi come quella più utile a spingere gli anti-bipolaristi tra il 15% e il 20%. Effettivamente questo dell’illudersi che la somma faccia il totale, per dirla alla Totò, è stato un vizio praticato tanto nella Prima come nella Seconda Repubblica. Ma, a parte il fatto che al Senato lo sbarramento all’8% obbliga ad andare uniti, la domanda è: la regola del marciare separati per colpire uniti vale anche oggi, in cui il vero nemico è l’astensione consapevole e la base sociale larga di un nuovo soggetto politico non può che essere il ceto medio colpito dalla crisi? Una cosa è comunque certa: il Centro, vecchio e nuovo, fin qui incapace di costruire un soggetto politico ad hoc, senza Monti elettoralmente non esisterebbe. Insomma, se il principale merito del governo Monti è stata la discontinuità rispetto al bipolarismo malato, allora ben venga la valenza politica della sua “agenda”. Per migliorarla ci sarà tempo e modo.

Analisi e commenti

La “salita in campo” di Monti
Una cilecca elettorale
Esiste un solo modo per evitare che l’Italia non si trasformi in un protettorato privo di sovranità effettiva, e consiste nel modificare la Costituzione.
Davide Giacalone
28-12-2012
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I bilanci del 2012
Sotto l’albero
Sotto l’albero ci sono bei regali, ma anche tanto carbone…Provo a fare una piccola selezione di entrambe le cose.
Enrico Cisnetto
24-12-2012
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L’ipotesi del pareggio al Senato
Non tutti i mali vengono per nuocere
L’ipotesi che dalle urne non esca una maggioranza chiara e definita non è necessariamente da considerarsi un evento nefasto.
Massimo Pittarello
28-12-2012
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