La filmografia di Gian Maria Volonté ha un’intensità inaudita: passa dal registro sperimentale, introspettivo, non necessariamente legato alle appartenenze politiche, e arriva a toni di vera e propria militanza, etica e civile; investiga personaggi liminari, di frontiera, aggrediti dalla vita, e potentati, istiga rivolta e, contemporaneamente, fa scattare una riflessività sconosciuta alla quasi totalità degli attori contemporanei.
Un libro degli ultimi mesi sembra disegnato addosso al tipo di narrazioni che la capacità attoriale e transizionale di un artista come Volonté amava frequentare, “Blocco 52” (Rubbettino, 2012), di Lou Palanca, dichiarato pseudonimo calcicistico, legato al calcio,appunto, non meno che alla vicenda editoriale e creativa del più riuscito collettivo degli ultimi decenni: Luther Blissett e, a seguire, in formazione omologa, ma non sovrapponibile, Wu Ming.
Il libro in questione narra di uno strano omicidio senza colpevoli e, apparentemente, senza complotti e faide del malaffare, nella Calabria di metà anni Sessanta: decennio oscuro, per troppi versi, dove l’esaurimento del boom porta alla crescente urbanizzazione demografica e alla nuova conflittualità operaia, nel contesto, però, di griglie rivendicative che già vedevano come inadeguate le categorie stantie e non adattate della Rivoluzione d’Ottobre. Il morto in questione è autorevole esponente del Partito Comunista Italiano in Calabria: Luigi Silipo. L’efficace sottotitolo è, difatti, “una storia scomparsa, una città perduta”: la storia scompare, insieme a quel sindacalista del movimento bracciantile, eppure sufficientemente erudito da anticipare le contraddizioni che vengono dalla conversione delle modalità reddituali e produttive, quel devoto esegeta della morale socialista, che, comunque sia, sperimenta una condotta di vita non sovrapponibile ai cliché della conformità comportamentale dell’Italia post-bellica. Ucciso in pieno centro, in una città tranquilla, o percepita come tale, persino all’oggi, da chi ha, tradizionalmente in Calabria, ha buon gioco a sottovalutare le emergenze sociali, stemperandole in un presuntamente sostenibile “quieto vivere”.
“Blocco 52” si nutre di grandi fotografie del paesaggio catanzarese (e dell’entroterra calabrese di quegli anni), ormai riscattabili soltanto alla memoria, a causa di trasformazioni non di rado irrazionali: meriterebbe una ricostruzione da set cinematografico, quella città perduta. Quantunque, la frequenza delle sequenze dialogiche e taluni colpi di scena nella vicenda del protagonista (ma è davvero l’unico protagonista di una storia più corale di quanto non dica la singolarità del delitto?) rendono suggestiva la rappresentabilità dell’opera, anche nella sede più scarna, che è quella della lettura pubblica e della pubblica condivisione.
Volonté, che in quelle pagine talvolta emerge come l’attore feticcio di una generazione inquietamente impegnata, ma assai più omogenea, nella propria rottura della menzogna del potere e nella propria (auto)liberazione dalle pretese dello schematismo, rispetto a quelle del ’68 e del ’77, verosimilmente, avrebbe potuto appassionarsi ai mille controcanti, detti e non detti, di questa storia, dove i caratteri sono assemblati su un proscenio difficile: talmente difficile, che persino l’ideologia della lotta di classe sembra destinata a soccombervi.
Domenico Bilotti