Obama riparte

Di Carlo Di Stanislao
Obama, dopo Bill Clinton, è l’unico democratico a conquistare un secondo mandato dalla Seconda Guerra e l’unico ad essere rieletto con un tasso di disoccupazione oltre il sei per cento.
Nel corso della campagna elettorale è stato spesso sottotono e dimesso, ma ora, dopo la vittoria, ha tirato fuori la grinta di un tempo per dichiarare alla Nazione che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, si impegnerà “a lavorare con i leader di entrambi gli schieramenti per affrontare le sfide che vanno risolte: ridurre il deficit, riformare il codice tributario, aggiustare il sistema per quanto riguarda le regole sull’immigrazione, liberarsi della dipendenza dal petrolio straniero”.
Ora ha altri quattro anni per tornare a pieno titolo nel cuore di quell’America che, un po’ delusa, comunque lo ha sostenuto, votando con minore entusiasmo, ma accordandogli ancora la fiducia come primo artefice di un cambiamento che investa lo stato sociale, i diritti e il lavoro.
La vittoria è certamente più sofferta di quella del 2008 e tutti si augurano che ciò che ha detto nel suo primo discorso subito dopo la conta dei voti, dopo aver conquistato l’Ohio e la Virginia ed ottenuto grandi numeri in Pennsylvania, Wisconsin, Colorado e Nevada, sia vero e che il meglio “debba ancora venire”.
Gli elettori gli hanno riconosciuto che si è trovato a gestire la più grave crisi economica dal 1929, riuscendo a risollevare, almeno in parte, le sorti del paese, con un calo, a settembre, del tasso di disoccupazione passato dall’8,1% al 7,8%.
Ed inoltre, anche se in modo molto americano ed incompleto, è riuscito in ciò che neanche Cinton aveva realizzato: la riforma della sanità, con un’assicurazione sulla salute per tutti e l’aumento del numero di persone tutelate dal sistema sanitario.
Romney, che ha preso più voti senza raggiungere però i 270 grandi elettori necessari, ha riconosciuto la sconfitta e si augurato, in un periodo di sfide cruciali, che il presidente eletto “possa avere successo”.
E’ stato pesantemente fischiato dai suoi i che non hanno affatto digerito i complimenti a Obama, ma questo mostra di che tempra è fatto.
Poi, con grande onestà e lealtà, ha ringraziato la famiglia, i volontari e gli attivisti che hanno dato battaglia fino all’ultimo in campagna elettorale.
Dal canto suo Obama, ha subito ringraziato i sostenitori su Twitter, rilanciando quello che era stato uno degli slogan della campagna elettorale “Altri 4 anni”, e `postando´ una foto in cui abbraccia la first lady Michelle.
Ci dicono i giornalisti che mentre lo sconforto si è impadronito della sede di Romney a Boston, la gioia è esplosa a Chicago, sede del quartier generale dei democratici ed una folla festosa di 5-6000 persone, ha festeggiato davanti alla Casa Bianca.
Ma è adesso che comincia il vero lavoro e la strada in salita di Obama che, oltre che di ripresa economica ed occupazionale, ha promesso, nel prossimo mandato, di voler attuare nuove tassazioni per i più ricchi ed incrementare la spesa pubblica per la formazione professionale e l'istruzione, in particolare quella universitaria, scelte non facili e non solo perché, come nei quattro anni trascorsi, le due camere sono divise fra democratici e repubblicani, ma per la grave crisi economica che ancora attanaglia l’America ed il mondo.
Oltre a gravosi problemi interni, Obama dovrà occuparsi anche di nevralgiche situazioni internazionali e non solo di Afganistan, Iran e Siria, ma anche della mai risolta questione Israele-Palestina.
Tutti coloro che avevano osteggiato il governo Bush per la sua politica estera dopo l’attentato alle Torri Gemelle, erano convinti che Obama avrebbe immediatamente ritirato le truppe americane da Iraq e Afghanistan e che certo non avrebbe fatto altri interventi analoghi e che avrebbe relegato gli Usa a una politica estera neutrale.
Questo non è certo avvenuto anche se il governo si è sforzato di dare una svolta agli interventi militari, con immagini e comunicati atti a dimostrare che i soldati Usa si preoccupano solo di guidare la fase di ricostruzione e di avviamento democratico in Iraq e Afghanistan e non certo di perpetrare eternamente guerre.
Inoltre, proprio il governo Obama è riuscito a stanare Osama Bin Laden ed è intervenuto in Libia e in altri Paesi del Nord Africa che stavano vivendo un momento di disordine e subbuglio, perrchè, pur essendo un democratico, Obama è pur sempre un americano e l’America è un Paese fondato su determinati principi e valori assoluti (il libero mercato, la proprietà privata, la democrazia, il rispetto per l’altro anche se diverso, il multiculturalismo, la difesa), riconosciuti da tutti i cittadini e da molti secoli.
Tornando alla vittoria di stanotte (o più precisamente de l’alba di stamani) essa avrebbe dovuto tranquillizzare gli investitori per la prosecuzione della politica accomodante della Federal Reserve ed invece, il dollaro, ha perso terreno nelle borse asiatiche, perché Il Congresso rimane spaccato con i Democratici che hanno conservato la maggioranza in Senato e i Repubblicani alla Camera dei rappresentanti e perché si avverte la possibilità che Ben Bernanke lasci la guida della Federal Reserve alla fine di questo mandato.
Con il Congresso Usa che resta spaccato, aumentano i rischi per il fiscal cliff che potrebbe scattare a inizio 2013 se non sarà raggiunto un compromesso , senza contare che l'aumento delle tasse e i tagli alla spesa che potrebbero esserci a partire dal prossimo anno, saranno sempre più al centro dell'attenzione critica del mercato.
In effetti, l'euro è salito fino a 1,2875 dollari (ora a 1,2872) quando è stata annunciata la vittoria di Obama nello Stato chiave dell'Ohio e molti economisti, ora, dicono che il programma economico di Romney era migliore e più rassicurante di quello dei democratici.
Come ha scritto, con il solito acume Gramellini su La Stampa (e detto lunedì a che Tempo che fa di Fazio), l’Obama di questi giorni, impegnato in una durissima campagna elettorale, è melanconico e crepuscolare, parla di numeri e pare aver abbandonato i sogni e, soprattutto non pensa più che la nuova America possa cambiare il mondo. Eppure, nonostante tutto e nonostante le delusioni del precedente mandato, è ancora lui la persona giusta per creare il miracolo di una vera inversioni di tendenza, in cui, più che il cervello, sia il cuore a dirci: “si può fare”.
Come scrive da New York Claire Zanzucchi, è ancora questo afro-americano che ci dimostrerà, e meglio che nel passato, come l’America voglia diventare un Paese che non vuole usare le armi ma i suoi ritrovati valori per contare nel mondo.
I complimenti piovuti da tutte le Nazioni al riconfermato presidente, ci fanno capire che in lui tutti vedono il leader di un Paese che vuole contribuire e collaborare con il resto del mondo, un Paese che davvero e desidera trovare una soluzione collettiva ai problemi globali di oggi: le nuove tendenze, l'economia, il desiderio di pace.
Obama incarna un “sogno che va avanti”, come ha detto in campagna elettorale abbracciando Bruce Springsteen, ma soprattutto un programma che va avanti, con un presidente che avrà la forza necessaria per affrontare all'insegna della continuità una fase difficile della storia americana, afflitta da gravi problemi strutturali, specie in economia, con un tasso di disoccupazione che sfiora il record storico e un debito pubblico elevatissimo (col rischio che gli Usa “diventino come l'Italia”, come ha detto durante la campagna lo sfidante). Ma anche con una ripresa economica finalmente in arrivo e da cavalcare per uscire dalla crisi.
Ci vorrà coraggio e non sarà una passeggiata, soprattutto perché gli gnomi cattivi di Wall Sreet difenderanno strenuamente i loro privilegi, ma lui ha la forza e la determinazione per farlo, perché ha in sé l’energia e la tempra, come a scritto nelle molte mail spedite ai sostenitori, degli “”americani normali, più forti dei poteri forti”.

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