Il recente Magistero della Chiesa Cattolica ha spesso additato illibertarismo, soprattutto in campo etico e sessuale, come paradigmadeviante tipico dei giorni nostri. A ben vedere, però, le analisiveicolate da Benedetto XVI, è difficile sostenere che il libertarismosia il vero bersaglio dell’accusa; semmai, il Pontefice sembrascagliarsi contro la mercificazione del corpo, control’assoggettamento di questo a visioni prefabbricate e strumentali delpiacere e della riproducibilità negoziale del piacere. In altreparole, se non si coglie male la posizione pontificia, la visionemagisteriale corrente sembra poter addirittura allearsi conquell’impostazione del libertarismo che, in sostanza, rimanda alprincipio della responsabilità, al garantismo processuale,all’esistenza di una precomprensione giusnaturalistica del reale, chedeve misurarsi con le problematiche concrete quotidianamente poste dalvivere. Insomma, l’idea è che, non di libertarismo, si stia parlandocriticamente, ma di libertinaggio, consumismo, speculazione, abuso:esattamente quattro canali distorsivi contro cui il libertarismo si èsempre posto molto tenacemente, respingendo i canoni della coattività,dell’imposizione dei costumi, della soppressione delle libertà altrui.È, in definitiva, quel libertarismo che deontologicamente riconosceassai significative le posizioni di Benedetto XVI sulla condizione,mano a mano più truce, della detenzione, nonché sull’affermazioneuniversale di un diritto di libertà religiosa, orientato al pacificoesercizio delle libertà di professione, culto e proselitismo che lostesso Costituente italiano ha inteso esplicitare, rinviando soltantoall’ex post factum (o, meglio, all’ex post scelus) la qualificazionedi limiti oggettivi e soggettivi a tali libertà. Quello che vale perl’analisi concettuale, è a maggior ragione utile per la ricomposizionedel tessuto politico di cultura cattolica in Italia; l’idea che debbanascere un rinnovato partito esclusivamente veicolo di valoricattolici, senza dinamiche interne, fideistico, neo-democristiano(cioè, senza avere quello slancio sociale, quella petizione comune,che andavano, pur con mille profili problematici, riconosciuti allaDemocrazia Cristiana), è inattuale, prima ancora che pericolosa.Sull’ordine pubblico, tale movimento dovrebbe esaltare la garanzia el’equità, oppure il conformismo incapace di parlare all’altro da Sé,quand’anche avesse intenzione di diffondere i propri più legittimiorientamenti? Sulle questioni economiche, l’associazionismo cattolicoche ricette unitarie proporrebbe? Le incertezze programmatiche dellanew big society sussidiaria di Cameron o il ricorso alla tradizionedel mutualismo, ove, però, la massimizzazione degli istituti disolidarietà sociale è stata, almeno talvolta, declinata in forme assaidistanti dalla vera vicinanza dialogica alle condizioni del disagio,dello sfruttamento, della miseria? L’interesse cattolico, ci pare dipoter concludere, non è quello di ricompattare un proprio “esercito”:siffatta “missione” ha sempre avuto esiti disastrosi (e politicamentee culturalmente aridi) quando ha voluto esteriorizzarsi in partiti oin nuove reti associative, spesso consolidamento autoreferenzialedelle vecchie. Semmai, la cosa più suggestiva potrebbe essere ilriconoscimento, non più emendabile, di una positiva pluralità dirappresentanza anche religiosamente orientata nella diversità delleopzioni partitiche, politiche e di movimento che si registrano nellasocietà civile, con maggior duttilità e buona volontà dei circuitiistituzionali parlamentari -che, magari inconsapevolmente, ancora nonprendono atto di una richiesta di autoriforma del ceto politico cheprescinde dal merito confessionale e, invece, è tutta giocata sullaricerca di modalità partecipative più larghe e leali. In un percorsodi questo tipo, valutazioni coerenti con la domanda didemocraticizzazione degli istituti, di ricambio di classi dirigenti,di rirappresentazione delle priorità giuridiche (civili, politiche esociali), vedrebbero un’angolatura genuinamente libertaria più comealleato prezioso che come antagonista, condannato in partenzaall’incomunicabilità con una griglia programmatica presuntamente erigidamente (ma inconcludentemente) ortodossa.
Domenico Bilotti