«Da che sono al mondo, non ho mai gustato una bevanda più gradevole e squisita di quella» (Caterina da Siena)

Mercoledì sera 12 settembre su Rai Storia, ha trasmesso “Le parole delle donne”, l’ultima Lezione di Storia del ciclo dedicato al tempo delle donne, tenuta da Dacia Mariani. La scrittrice ha raccontato che Caterina da Siena, poiché provava disgusto curando un moribondo, per punirsi bevve l’acqua sporca con la quale aveva lavato le piaghe del malato. Considerata l’enormità dell’episodio, Dacia Maraini sorridendo ha precisato: “E’ storia, non sto inventando!”. In realtà, non è stata del tutto fedele alla storia. Non si trattava, infatti, di un moribondo, ma di una malata di nome Andrea, e forse questo nome l’ha indotta a ritenere che si trattasse di un uomo. E l’episodio è ancora più sconcertante di quanto sia apparso dal suo racconto. La storia è raccontata dal biografo di Caterina da Siena, il Beato Raimondo da Capua (S. Caterina da Siena , Legenda maior, Edizioni Cantagalli).
Ecco la storia come l’ho raccontata ironicamente, ma restando fedele al testo, nel mio libro “Sesso, diavolo e santità”.
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«Da che sono al mondo, non ho mai gustato una bevanda più gradevole e squisita di quella» (Caterina da Siena)

Un’altra inferma mostrò di non gradire le premure amorose di Caterina. Era anch’ella una consorella del beato Domenico, e si chiamava Andrea. Un’ulcera cancrenosa si era sparsa su tutto il suo petto, e il fetore che emanava dall’enorme, raccapricciante piaga, allontanava ben presto chiunque si fosse recato a farle visita. Appena Caterina venne a saperlo, corse dall’ammalata, e si offrì di assisterla fino a che durasse la grave malattia. Andrea, naturalmente, gradì ed accettò ben volentieri la generosa offerta della vergine. Non curandosi del miasma che era costretta a respirare, né dando segno alcuno di nausea, Caterina lavava, asciugava la piaga, e la fasciava con nuovi pannolini. La vecchia Andrea era contenta di vedersi circondata da tante premure, e la vergine senese svolgeva con entusiasmo il suo lavoro. Ma l’intervento del perfido e astutissimo serpente fece sì che le cose cambiassero del tutto. Un giorno Caterina sentì una sgradevole sensazione di vomito, ed anziché attribuire la colpa al demonio, questa volta, rimproverò sé stessa: «Come ti permetti di schifarti di una sorella redenta col sangue del Salvatore? Ti punirò severamente!». Inclinò la faccia sul petto dell’inferma, e tuffò bocca e naso nella piaga, restando in quella posizione sino a che il conato di vomito non svanì. L’atto coraggioso mise in fuga la bestia dispettosa. Da quel momento però l’inferma, che ovviamente non aveva compreso il significato del gesto, prese ad odiare Caterina, al punto da insinuare che essa si macchiasse di turpitudini, e che non fosse vergine. La voce serpeggiò tra le suore che, col naso ben protetto, si recarono dall’inferma, al fine di appurare la verità. La vecchia Andrea, essendo ormai legata totalmente al demonio, confermò le colpe di Caterina. Le suore, forse anche a causa dello strano comportamento della premurosa infermiera, ritennero vero quanto la malata aveva asserito, e infuriate mandarono a chiamare la consorella, e la investirono con una valanga d’insulti. La santa di Siena per difendersi altro non poté fare che ripetere all’infinito: «Per grazia di Gesù Cristo, io sono vergine. Credetemi sorelle, io sono vergine. Vi assicuro care consorelle, io sono vergine, sono vergine, sono vergine!». Disperatissima, corse nella sua cella e si rivolse allo Sposo, sapendo perfettamente che lui aveva concesso il permesso ai demoni d’inventare quelle orribili calunnie. Pregò, pianse e singhiozzò sino a che non le apparve il Signore che tenendo nella mano destra una corona d’oro ornata di pietre preziose, e nella sinistra una corona di spine, la consolò in questa maniera: «Figlia mia cara, scegli quella che più ti piace di queste due corone; vuoi essere coronata nella vita terrena dalla corona di spine, ed io ti serberò l’altra per la vita eterna; oppure vuoi ricevere ora questa preziosa, ed io coronerò la tua anima in eterno con quella di spine?». Caterina, che non avrebbe mai osato, né forse le sarebbe mai venuto in mente di chiedere alla Sposo se non ci fossero altre possibilità; se non potesse avere, ad esempio, una corona ornata d’umili fiori di campo, con poche spine nella vita terrena, e senza spine nella vita eterna, rispose: «Signore, da molto tempo ormai ho rinunciato alla mia volontà, per seguire solamente la tua. La scelta quindi non spetta a me. Ma giacché tu desideri una mia risposta, ti dico subito che preferisco abbracciare le pene per amor tuo». Ciò detto, afferrò con entrambe le mani la corona di spine e se la calò tanto sul capo, che gli aculei glielo perforarono da tutte le parti. Ed il Salvatore, per darle maggior conforto: «Tutte le cose sono in mio potere; e giacché io ho permesso che succedesse questo scandalo, io stesso posso farlo svanire. Tu, anche se il diavolo non vuole, continua a prenderti cura dell’inferma. Io poi farò sì che tu abbia piena vittoria sul maligno».

Per opera del diavolo, le chiacchiere sulla dubbia verginità di Caterina giunsero all’orecchio di mamma Lapa, che prese a rimproverare aspramente la figlia: «Te l’avevo pur detto di non servire quella vecchia puzzolente. Ecco il bel compenso che ti ha riservato! Se continuerai ad occupartene non ti riconoscerò più come figlia!». La vergine senese anche questa volta trovò le giuste parole per calmare la madre; le fece capire che stava facendo un atto di carità, e che solo il demonio poteva aver istigato Andrea; e tornò al suo servizio. Il Signore intanto mantenne la promessa fatta alla sposa. Un giorno la vecchia malata vide Caterina trasfigurata: aveva assunto l’aspetto di un angelo! Provò profondo rimorso per avere sparlato di una vergine tanto meravigliosa, e versando amare lacrime, le chiese perdono. Caterina abbracciò calorosamente la maleodorante Andrea, dicendole: «Dolcissima madre, è stata la bestia immonda nemica del genere umano ad ingannarvi. Non è vostra la colpa, ma solo sua. State tranquilla, che io non vi abbandonerò». Caterina naturalmente non pensò che sarebbe stato giusto addebitare un po’ di responsabilità anche al suo Sposo.

L’ingenua, dispettosa bestia infernale, però, nemica soprattutto dei santi, non sapendo cosa inventare di nuovo per distogliere Caterina dalla sua missione d’infermiera, ricorse per la seconda volta allo stratagemma della nausea. Mentre la vergine toglieva le fasce alla piaga di Andrea, il suo stomaco fu sconvolto dal tremendo puzzo che n’esalava. Ed ancora una volta l’eroica santa di Siena se la prese col proprio corpo, e gli disse: «Viva il dolce Sposo della mia anima: ciò che tu aborri, entrerà nelle tue viscere!». Raccolse quindi in una scodella la lavatura della piaga, assieme al repellente frutto della suppurazione, e badando bene questa volta che l’inferma non s’accorgesse di nulla, tracannò la mistura fino all’ultima goccia. In seguito la vergine confessò al buon Raimondo da Capua: «Da che sono al mondo, non ho mai gustato una bevanda più gradevole e squisita di quella». Riguardo invece all’episodio della bocca e del naso pigiati sulla piaga di Andrea, la santa aveva confidato a fra Tommaso, il suo primo confessore, di non avere mai sentito un profumo così soave e delicato. Voleva punire il suo corpo, l’ingenua Caterina, ed invece gli aveva dato un piacere entrambe le volte!

Il Signore considerò lo stomachevole pasto di Caterina una vittoria sul diavolo, e per compensarla le apparve il giorno dopo, e le disse: «Mia diletta, giacché ieri bevesti con allegrezza quella ributtante bevanda, io te ne darò una che mai hai gustato nella tua vita». «E ponendo la mano destra sul collo virgineo di lei e accostandosela alla piaga del proprio costato, le sussurrò: “Bevi, o figliola, la bevanda del mio costato, con la quale l’anima tua si riempirà di una tale dolcezza, che ne risentirà mirabilmente anche il corpo che per me disprezzasti”». Alla sposa non parve vero: accostò le labbra alla ferita stillante sangue, e succhiò a lungo la divina bevanda, sino a che il Signore non le fece cenno di staccarsi dall’amplesso.

Renato Pierri

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