Sono motivate e numerose le ragioni per cui è poco interessanteappassionarsi alla diatriba terminologica tra laicità e laicismo, dovesiano le virtù profetiche dell’una e gli inguaribili limitidell’altro. In particolar modo, la distinzione, in Italia, non haalcun valore di ermeneutica giuridica, almeno non per la gran partedegli editorialisti, e serve piuttosto a screditare l’avversario diturno. Per tali ragioni, può essere necessario fare ricorso a questopossibile dualismo, per cercare di cogliere, in entrambe le accezioni,quanto davvero possa servire al dibattito su una “mentemulticulturale” (come propensione individuale e collettiva a gestirela pluralità delle voci, delle esperienze e dei problemi).Normalmente, si invoca una sana laicità, mitigata, temperata, tiepida…e si afferma che essa sarebbe ben diversa cosa dal perfido einconcludente laicismo. Troppe volte questa argomentazione èvessatoria: basta esser bollati come “laicisti” e, a prescindere dalcontenuto di quanto si sostiene, non si potrà realmente parteciparealla discussione. Il punto di vista laicista andrebbe bandito toutcourt. Si alla laicità e no al laicismo, in sintesi, significarecuperare alla laicità posizioni anche non laiche e screditare alcuneposizioni, linearmente e proficuamente laiche, nel girone dantesco deilaicisti incalliti.All’opposto, altri ribattono, ricordando l’esperimento dimodernizzazione della Destra Storica e l’intuizione per talune istanzesociali della Sinistra, che non di una laicità non letteralmentescritta in Costituzione, riempibile di contenuto a capriccio di chi hainteresse a darne ora una visione, ora un’altra, vi sarebbe bisogno,ma di riscoprire la tavola metodologica e legislativa del laicismo.Appena si supera la cortina di fumo (e muffa) di una discussione trasordi apparenti, insomma, ci si rende conto che le argomentazionipotrebbero avere un senso se vi fosse accordo sulla dinamica e sulladefinizione di cosa intendere per laicità e cosa per laicismo; essendoproprio la questione dei termini, le aree di significato copertedall’uno o dall’altro, in se stessa messa in questione, nessunaimpostazione dialogica, pragmatica e riformatrice, potrà venirepoggiando esclusivamente su questo dualismo talvolta espressamentesettario.L’impressione più seria, forse, è che richiamarsi al principio dilaicità non possa essere il postulato da cui far discendere qualunqueidea, anche la più bislacca, circa l’armonizzazione dei rapporti traleggi civili e autorità pontificie e confessionali, né traappartenenze confessionali di radice profondamente diversa, sin quipoco propense a un’interlocuzione feconda sul tema dei nuovi diritti edei nuovi doveri esatti dalla società multiculturale.Serve all’opposto capire che le soluzioni normative debbono risponderead esigenze reali, che non sembrano adeguatamente descritte daun’organizzazione dei rapporti che si richiama a vecchie categorie,alimentando distanze fittizie, piuttosto che proponendo soluzionicondivisibili e in grado di reggere la sfida degli ordinamentigiuridici che meglio si sono proposti e affermati nella articolazioneconcreta delle tutele. Domenico Bilotti