“Dobbiamo prendere questa Bergamo”, parola dei boss della ‘ndrangheta

«Pasquale vedi che dobbiamo prendere questa Bergamo». A parlare, nel gennaio 2009, intercettato dagli investigatori, è Michele Oppedisano, affiliato alla cosca di Erba (Como) che, chiacchierando col suo capo, Pasquale Varca, condannato a 15 anni, dopo una burrascosa riunione tra boss, lo sprona nell’impresa di puntare su «questa Bergamo». Il riferimento, come si legge nelle motivazioni della sentenza del maxiprocesso milanese “Infinito” contro la ‘ndrangheta (che ha portato a ben 110 condanne) firmate dal gup di Milano Roberto Arnaldi e diventate una sorta di «summa» della presenza della mafia calabrese al Nord, è all’azienda «Bergamo Scavi». Alla ‘ndrangheta lombarda infatti, come documentato dalla sentenza che ha accolto l’impianto accusatorio della Dda guidata da Ilda Boccassini, il business dell’edilizia interessa molto, soprattutto quello del movimento terra. E Bergamo è la capitale dell’edilizia lombarda, al punto che il “muratore bergamasco” è diventato addirittura un personaggio macchiettistico (interpretato in televisione da Enrico Bertolino): bonario, stretto nel suo dialetto, sporco di calce, è portavoce di un senso comune fatto di operosità e semplicità. Chi l’avrebbe mai detto che il “muratore bergamasco” parlasse così bene anche il calabrese?

Nel profondo Nord non c’è scampo. Quella che doveva essere la terra più pura, fatta da genti che contro le mafia opponevano anticorpi di celtica genìa, si vede oggi strozzata dal crimine organizzato. Alla favola dell’orgoglio padano ormai non ci può credere più nessuno. I tentacoli della ‘ndragheta, radicata in pianta stabile in Lombardia, non si accontentano di soffocare Milano e hanno invaso coi loro traffici tutte le province che gravitano attorno. Compresa Bergamo, città che fu medaglia d’oro per il risorgimento, decaduta nello spirito e nei costumi al punto da fare del capoluogo orobico la base d’appoggio dei clan lombardi. Bergamo, al pari di Lecco, Como, Milano, sono al contempo città vittime e carnefici di sè stesse. Incapaci di reagire all’infiltrazione mafiosa che inquina la politica, gli appalti, il lavoro, perché quegli anticorpi “padani” non sono una qualità innata, vanno piuttosto coltivati attraverso l’educazione alla legalità e la presa di coscienza della propria vulnerabilità di fronte a un nemico che risiede anzitutto nella mentalità. Una mentalità mafiosa. I numerosi casi di imprenditori lombardi collusi con la ‘ndrangheta sono lì a dimostrare che nessuno può dirsi immune.

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