A vent’anni dalle stragi

di Matteo Zola

Vi perdono, ma inginocchiatevi. Queste parole Rosaria Schifani, al colmo del dolore, gridava agli assassini, ai complici, ai mandanti, durante i funerali per la strage di Capaci. Suo marito, Vito Schifani, diventato da poco padre, ventisette anni appena, era un agente della scorta del giudice Giovanni Falcone, fatto saltare per aria il 23 maggio 1992 sull’autostrada A29. A vent’anni di distanza da quella strage, e da quella che poco dopo ucciderà Paolo Borsellino, urge commemorare. Dimenticare, si sa, è prestare il fianco a nuove tragedie. Ricordare ufficialmente, in giornate dedicate, è però un atto consolatorio che rischia di imbalsamare la memoria edificando santini e mitologie di facile consumo.

Ma come evitare che il dovere, personale e civile, del ricordo diventi un cerchio rosso sulla data del calendario? Appuntamenti tv, mostre fotografiche, fiction e pellicole cinematografiche, non possono bastare. Per quanto riguarda i temi di mafia, si assiste a un fiorire di libri sull’argomento da quando, meritoriamente, Saviano diede la stura con il suo Gomorra a una vasta produzione letteraria sull’argomento. Il risultato sembra essere però un assordante vociare sotto il quale si rischia di perdere di vista la reale dimensione del fenomeno. Mentre sugli scaffali delle librerie si trova in bella vista l’ultimo romanzo-saggio sulla mafia, i giornalisti impegnati in prima linea (che spesso lavorano per piccole testate locali) vengono sparati, i terreni confiscati vengono dati alle fiamme, i capannoni degli imprenditori che non si piegano vengono fatti saltare per aria. Fatti che rischiano di passare sotto silenzio, coperti dall’eccesso di “rumore” che fa oggi l’informazione.

Forse ha più senso guardarsi dentro, chiedersi cosa è cambiato da allora e come ognuno di noi si è impegnato in tal senso. E’ quello che hanno intenzione di fare a Gela in una manifestazione, prevista per il 18 e 19 giugno, in cui si confronteranno istituzioni, associazioni, giovani e adulti per capire cosa in Sicilia è cambiato a venti anni dalle stragi. Forse ha più senso connettere quelle stragi alle altre, troppe, della nostra Storia, come sta facendo Libera che al ventennale di Capaci e via D’Amelio decide di sommare il ricordo della morte dell’onorevole Pio La Torre e del suo amico e autista Rosario Di Salvo (30 aprile 1982), del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Emmanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo (3 settembre 1982).

Certo ha senso non racchiudere in una giornata commemorativa la quotidiana, attuale, indomita lotta alle mafie condotta dalla magistratura e dalla forse dell’ordine che hanno pagato, per questo impegno al servizio della cosa pubblica, un altissimo prezzo di sangue. Molte verità sono ancora da scrivere, su tutte resta da capire quale fu il ruolo dello Stato nelle stragi, se realmente le istituzioni (o parte di esse) strinsero un patto scellerato con Cosa nostra, e quali sono state le conseguenze di quella “trattativa” in questi vent’anni. Le giornate dedicate al ricordo rischiano di diventare musei della memoria, e nei musei – si sa – stanno le cose morte. L’impegno – civile, morale, politico, individuale e collettivo – deve essere invece oggi più vivo che mai

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