di Scipione L’Aquilano
Le elezioni amministrative a L’Aquila è evidente che assumono un valore ed un significato che va oltre la ordinaria competizione tra partiti e/o schieramenti politici. La particolarità di questa tornata elettorale non sta solo nel fatto che sono le prime elezioni amministrative del post-terremoto, infatti va assolutamente considerato che si svolgono in un frangente temporale altrettanto particolare e straordinario della vita politica e istituzionale del paese.
Proviamo a riassumere e a riflettere sulle similitudini tra la realtà cittadina e quella del paese.
E’ ormai evidente e ineludibile che una stagione politica in Italia sembra finita, sia perché sommersa dalla “questione morale”, sia per la inadeguatezza delle risposte date alla dilagante crisi economica internazionale degli ultimi anni. A parziale scusante di chi ha guidato il paese negli ultimi anni va riconosciuto che dal 2008 in poi l’Italia ha pagato un prezzo altissimo per la crisi economica mondiale generatasi negli Stati Uniti. E’ innegabile che stare al comando quando i problemi di moltiplicano e le risorse si assottigliano è difficile, molto difficile. E’ altrettanto evidente però che in altri Stati europei classi politiche accorte e cittadini con le maniche rimboccate hanno saputo parare quasi tutti i colpi della recessione: i tassi di sviluppo del Pil della Germania o, fuori dall’area euro, della Polonia, parlano chiaro.
Lo stesso potremmo dire a livello cittadino. Certo che è difficile e arduo far camminare la macchina amministrativa dopo un devastante terremoto, ed è altrettanto vero che non si è tecnicamente preparati ad una situazione simile. Però ciò non giustifica una esasperata ed esasperante litigiosità tra enti e strutture amministrative, non giustifica affatto che la produttività e l’assenteismo del Consiglio Comunale sia rimasta la stessa dei tempi ordinari. Allo stesso tempo non è giustificata la mancanza di strumenti nuovi di comunicazione con i cittadini. Anzi, passata l’emergenza immediata, proprio la situazione nuova avrebbe dovuto far emergere (e penso di interpretare il pensiero di molti cittadini) la consapevolezza della necessità di una cooperazione profonda tra tutte le istituzioni e le forze politiche, l’esigenza di dividere tra l’azione ordinaria chiamando a raccolta tutte le energie della città a dare il proprio contributo, e quella progettuale e di indirizzo attraverso gli strumenti della progettazione partecipata, che è ormai modus operandi in molte città del nostro paese (es. Ravenna, Reggio Emilia ecc..), con indiscutibili e tangibili risultati.
E mentre in questi tre lunghi anni la situazione politica nazionale e locale si aggroviglia su se stessa, la crisi economica continua a incombere sulla penisola e sulla città. Chi prima ha negato che le ombre dei mutui sub prime potessero avvolgere anche l’Italia («la nostra economia è solida, il nostro sistema bancario altrettanto…») e poi ha cantato vittoria con troppo anticipo («il peggio è passato, siamo fuori dal tunnel, ora pensiamo allo sviluppo…»), ha solo fatto propaganda elettorale. In realtà restiamo in mezzo al guado e occorrono da un lato misure per aggiustare i conti statali (il debito pubblico è cresciuto a dismisura), dall’altro iniziative strutturali per rilanciare la crescita (investimenti, moderazione fiscale, sostegno alle imprese e all’occupazione).
Lo stesso a L’Aquila non si ha il coraggio di ammettere che migliaia di persone sono legate al sottile filo delle entrate della Cassa Integrazione in Deroga, Mobilità in Deroga e al Contributo di Autonoma Sistemazione e che i risparmi delle famiglie si stanno assottigliando. Mancando una qualsiasi seppur minima politica dell’occupazione, una volta terminati questi strumenti straordinari migliaia di persone e famiglie si ritroveranno con entrate dimezzate, se non addirittura azzerate con preoccupanti risvolti sociali.
In questo frangente appare più che mai chiaro che il “palazzo” si è discostato troppo dalla “piazza”. La piazza delle persone comuni, delle famiglie, dei lavoratori, dei giovani, indignati o meno, che reclamano un futuro meno incerto. In questi ultimi 3 anni i politici in Italia si sono occupati di processo breve, intercettazioni, ruolo della magistratura, legittimi impedimenti.. tutti temi che non toccano i problemi e le attese quotidiane più reali dei cittadini a partire da occupazione, servizi pubblici ¬ – scuola, sanità, trasporti… -, ricerca, cultura.
Così come a L’Aquila non si è fatto altro che parlare di ordinanze, cavilli burocratici, strutture tecniche, commissari, vice-commissari ecc.. sfiorando invece appena le problematiche reali di migliaia di cittadini. Non si può più rimandare, dunque, una nuova fase politica. In questa situazione è alto il rischio che prevalgano le tentazioni dell’antipolitica, del populismo, del qualunquismo, delle improbabili ricette miracolistiche. In Italia così come a L’Aquila diventano invece necessari due passaggi: il primo che è quello di dare ai cittadini una maggioranza solida in grado di predisporre risposte efficaci alle sfide più urgenti; il secondo, di medio-lungo periodo, volto a ricostruire il senso civico, la responsabilità condivisa verso le sorti della nazione e della città, e dunque, una più diffusa partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica.