A Buenos Aires, l’omaggio a una città  e a un caffé

di Walter Ciccione

Faccio parte di quella generazione particolare, costituita dagli italiani DOC (Di Origine Certificata), che agli inizi degli anni ‘50, ancora bambini, col rispettivo gruppo familiare, abbiamo intrapreso la complessa avventura di emigrare verso l’estremo Sud dell’America, la suggestiva Buenos Aires, che ci ha accolto calda e ospitale, consentendoci di superare gli effetti laceranti dello sradicamento per poi, transitando una tappa più appassionante, conoscerla, imparare ad amarla ed infine adottarla come propria.
Metropoli dalle molteplici origini etniche, dove l’alluvione immigratorio formò la sua idiosincrasia.
Popolosa, misteriosa, eterogenea, con una architettura varia, rioni pittoreschi, moderni palazzi e vasti spazi verdi.
“La Reina del Plata”, come viene chiamata, identificata con il calcio, “pampa”, carne, tango – vero proprio corpus poetico per descriverla per intero – e il caffè, che per i “porteños” è un tempio del culto all’amicizia, luogo per il dialogo, scrivere e filosofare.

Una Buenos Aires famosa per la sua vasta offerta culturale, per la vita notturna fatta di estremi contrasti, come quello delle frutterie e delle librerie aperte fino all’alba. Città imperfetta la cui fisionomia è andata mutando fino a diventare stridente, il traffico sempre sull’orlo del collasso, è ancora più caotico grazie all’occupazione delle strade da parte di nuovi fenomeni sociali: i “piqueteros” e i “cartoneros”.

Fondata e rifondata dagli spagnoli, che fin dalla sua nascita porta l’impronta del Bel paese. A cominciare dal suo battesimo: Santa Maria della Bonaria, o “de los Buenos Aires”, nome la cui proposta viene attribuita a un marinaio di origini cagliaritane, che accompagnava il fondatore Pedro de Mendoza.
C’è poi il fatto che nelle vene di oltre la metà dei suoi abitanti, scorre sangue italico, che è la comunità che ha maggiormente apportato braccia, valori e idee, nella politica, nella cultura, nell’arte. In tanti altri campi è tangibile la sua influenza, come in quello sociale e persino nella della gastronomia. Infatti, pizza e pasta superano in popolarità e consumo il tipico “asado criollo”.Tutte particolarità che hanno portato a definizioni di Buenos Aires quali “la più italiana tra le città dell’America Latina”, oppure “la capitale italiana d’oltremare”, tra le altre.

IN CERCA DELL’ANGOLO PIÙ ITALIANO DELLA CITTÀ

Come avviene in altre grandi capitali, anche in Buenos Aires le diverse comunità di immigrati si sono stabilite in quartieri che poi sono diventati sinonimi delle loro origini, a cominciare dagli spagnoli che hanno nella “Avenida de Mayo” la loro strada simbolo, che viene identificata con la “Gran Via” di Madrid, al punto che la società e le autorità cittadine, l’hanno nominata: “El paseo más español de Buenos Aires”, specialmente nel settore dove sorgono, tra altri edifici emblematici, il teatro Avenida, cattedrale dell’arte flamenco, e l’angolo dove c’è il “Café Iberia”, vien denominato, addirittura, “la esquina de la hispanidad”.
Dunque, anche se è vero che si potrebbe dire che a Buenos Aires quasi tutto è italiano o ha qualcosa del Bel Paese, c’è il paradosso che non abbiamo la “via più italiana” o “l’angolo dell’italianità”.
A prescindere dal quartiere di La Boca, uno tra i più caratteristici e coloriti della città, abitato fino agli inizi del secolo scorso dagli immigranti genovesi, e oggi da altre comunità straniere, e quindi non più identificabile con noi. Quindi quel posto specifico da identificare con la nostra presenza da vincolare puntualmente con l’italianità, sembra non esserci.
Eppure secondo opinioni sia da connazionali che di “porteños”, che posso condividere, quel posto c’è, o c’era.

IL CAFFE’ LE CARAVELLE

Amarcord… era un piccolo bar caffè, nel quale non c’erano né tavoli né sedie. Solo due grandi banconi e lo spazio per godersi in piedi, un espresso all’italiana. Situato in pieno centro della città, su Lavalle, nota allora come “la calle de los cines”, per via della quantità di sale cinematografiche – oltre 20 – che c’erano una accanto all’altra in in meno di 500 metri. Un caffè che in qualche modo riuscì a cogliere lo stile e lo spirito dei suoi predecessori di successo: “Cremital”, “La Tazza d’oro e “Augustus” e che a partire dal 1956, seppe competere in simultanea con il “Milano” e con il “Coliseo”. Oggi è l’unico superstite di quell’epoca d’oro che comprende le decadi del ‘50, del ‘60 e del ‘70.
Un luogo che, a modo di Faro di Alessandria, fu il punto di rifermento, degli emigrati del dopoguerra e che, dato che non offriva molto spazio, la sua attività sociale si allargava fino al marciapiede “multiuso”, combinazione di vetrina delle frivolità, per mettere in mostra la moda all’italiana, organizzare appuntamenti per andare a ballo o a pranzo e perfino diventando una specie di agora ateniese nella quale discutere di politica, letteratura, filosofia, utopie, sport e donne, con annessi imitazioni e interpretazioni di battute dei film italiani annunciati nelle locandine dei cinema. Caffè che seppe esercitare un’attrazione particolare, una passerella sulla quale sfilarono ogni tipo di personaggi: dallo stereotipo del “tano”, a poeti, diplomatici, giornalisti, artisti, politici, imprenditori, sportivi e persino i “magliari”, con il solito “pacco” di tessuti e indumenti di origine presunta “made in Italy”.

STRETTAMENTE PERSONALE

Qualche giorno fa, forse preso da un “Attacco di nostalgia” o forse sentendo il bisogno di aprire l’archivio delle mie emozioni personali, ho voluto ritornare in quel luogo per constatare se i miei ricordi corrispondevano alla realtà.
Rifacendo la solita routine, mi sono recato verso il mio destino camminando lungo via Lavalle, dove ho avuto il primo urto con la dura realtà. Forse la progressiva chiusura delle sale cinematografiche e nuove abitudini dei “porteños”, hanno contribuito a farle perdere la sua eleganza e glamour, per diventare una Babele dove si incrociano dalle sale di slot machine, locali hard, artisti della strada, venditori ambulanti e persino un tempio evangelico e una sala bingo. In compenso, il Governo della Città ha messo targhe commemorative che ricordano nomi, data di inaugurazione e di chiusura di ognuno dei cinema di allora, davanti agli ingressi delle sale di allora.
Per quanto riguarda Le Caravelle, tutto è rimasto come allora e anche se mantiene inalterata la qualità del suo espresso, il passo del tempo si fa notare nell’aspetto deteriore del locale e quel che è peggio, è rimasto vuoto di italianità, perdendo l’incanto che le dava quello spirito tricolore.
Sembra comunque che quei tempi di gloria non sono rimasti completamente nell’oblio, visto che il Governo della Città ha riconosciuto che la sua storia fa parte del Patrimonio Culturale Di Buenos Aires e gli ha assegnato la simbolica distinzione di “Café Notable”, un elenco del quale fanno parte 60 bar e caffè tra i quali “il nostro”, è l’unico che ha un nome italiano.Una nomina che in qualche modo viene in supporto della nostra proposta di considerare “Le Caravelle” come luogo di riferimento della comunità italiana.
Viviamo un tempo nel quale sembra essere di moda rendere omaggio, sia a personalità che a luoghi emblematici, una modalità alla quale aderiamo e che in parte è stata all’origine di questo articolo, nel quale è implicito il nostro omaggio alla Città ed è esplicito quello a Le Caravelle.Ma con un gruppo di connazionali, personaggi noti e semplici clienti del Caffè, vorremmo presentare alle autorità la proposta: mettere una targa, come è successo con quelle davanti alle vecchie sale cinematografiche. Una piastra che possa testimoniare che quel caffè, che ha avuto anche in via Lavalle, la sua platea, fu lo scenario nel quale personaggi dal vivo, interpretarono scene proprie di film del neorealismo e della commedia all’italiana.
Un luogo che, in qualche senso può essere simbolicamente il nostro Cinema Paradiso e che merita un omaggio,iniziativa sulla quale certamente si impegnerà la collettività tutta , in modo speciale coloro che, come nel mio caso, sono di natura nostalgica e per i quali “poter godere i ricordi della vita, è vivere due volte”.

ciccioneg@speedy.com.ar

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