L’Italia non è più solo a rischio di processo involutivo; già lo sta vivendo. Minimizzare questa realtà sarebbe inutile perché evidente per tutti. A parte i provvedimenti del Governo Monti, sui quali già abbiamo espresso una nostra modesta opinione, riteniamo che la Penisola non sia in grado di sopportare ancora una situazione che, come previsto, andrà a sforare anche per l’anno prossimo. Dal varo della moneta unica, quindi da circa dieci anni, l’inflazione non è stata fermata; solo è stata ribaltata in Euro. L’attuale deprezzamento, stimato del 3,2% su base annua, andrebbe a corrispondere all’11,2% circa del 2000. Quando era ancora la lira a tenere banco ed i prezzi dei generi di largo consumo prezzavano -16% degli attuali. Ora la situazione sembra tendere ad un successivo peggioramento. Le borse continuano a chiudere in negativo e la disoccupazione sta riacquistando le posizioni degli anni’80. Quando lavorare era un “lusso” riservato a pochi ed i prepensionamenti erano ancora una storia ben lontana. L’inflazione, per obiettività, non è il solo parametro capace di sentire il polso della nostra economia. Però è, pur sempre, un indice da tenere sotto particolare controllo. Mentre Monti continua a giocare le sue carte in una partita difficile per tutti, il nastro produttivo nazionale si è inceppato. Il costo della vita è tornato alla ribalta e l’occupazione non riesce più a decollare. Il Professore, nonostante il rigore, non è ancora riuscito a bloccare il meccanismo che avrebbe dovuto far calare, entro la prossima estate, i più preoccupanti segnali di tensione sociale. Sono, ormai, milioni i giovani (18/26 anni) che non riescono a trovare un lavoro. Uno qualsiasi. Insomma, dopo aver conseguito diplomi o lauree, non hanno lavorato neppure un giorno. Lo stesso carico fiscale, nonostante tutte le assicurazioni, andrà ancora a colpire i ceti più deboli ed i rapporti impositivi percentuali non rendono giustizia al reale potere d’acquisto delle retribuzioni e delle rendite vitalizie. Il carico economico, sempre più pesante, è, così distribuito su un numero più contenuto d’unità lavorative. Il Paese, tra l’altro, entro l’inizio del 2013, dovrà rendere conto del suo operato interno ad una realtà comunitaria che non consente cedimenti sul fronte della produttività. Ci troviamo, in altri termini, di fronte anche ad una crisi di competitività internazionale che rende assai arduo risalire la china. In Europa, non ci sono altri Esecutivi “tecnici” con i quali potersi raffrontare. Ed i contatti con i politici sono sempre meno ipotizzabili, quando la controparte intende continuare la sua “strada” senza interferenze di sorta. Quello che da noi manca è la concretezza. La garanzia d’offrire le premesse per una possibile ripresa che ancora manca su tutto il fronte nazionale. L’inversione della tendenza recessiva non è possibile, a nostro avviso, senza fornire nuovi stimoli agli investimenti in un quadro politico meno confuso dell’attuale. Sotto questo vitale profilo, mentre la forza lavoro continua a calare, i bisogni economici del Paese sono in progressiva ascesa. La crisi di liquidità è una delle prove di quanto è grande l’incertezza per il futuro. Sono anni, e non solo mesi, che l’Italia sta scivolando lungo una china pericolosa. Quando erano i politici a gestire il futuro della Penisola, si era preferito posticipare il problema senza, però, proporre interventi calmieratori. Con Monti, il peggio non è stato ancora raggiunto. La crisi dei settori produttivi non può essere curata con “salassi” capaci solo di raccattare valuta per la macchina dello Stato. Con molto realismo, arriveremo alle consultazioni politiche del 2013 in forte fibrillazione. Dopo l’austerità “tecnica”, dovremo fare i conti con quella “politica”. E, dato che di benessere non si muore, potremmo ritrovarci a dover fare i conti con una “lotta” di classe che ci aveva preoccupato in gioventù e collocata tra gli anni’ 60 e ’70 del secolo scorso.
Giorgio Brignola