La difficile via dell’autoriforma dei partiti

I Palazzi della politica sono arroccati come in un bunker e la distanza dalla piazza, dai cittadini, dalla gente comune, è assai più ampia che nel ’92, durante la stagione di Mani Pulite.

Parlare di riforma dei partiti, quindi, è fondamentale sia per approfondire un tema che richiama ad un preciso articolo della Costituzione, il 49, sia perché l’argomento è di drammatica attualità e investe il funzionamento della nostra democrazia.

Ne abbiamo discusso in un convegno a Torino, organizzato dalla mia collega, la senatrice Patrizia Bugnano, a cui ho partecipato con il procuratore Capo di Torino Giancarlo Caselli, il Presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, il giornalista del Fatto Quotidiano Gianni Barbacetto e il capogruppo dell’Idv in Consiglio regionale del Piemonte Andrea Buquicchio.

Parto da un paio di episodi accaduti in Senato negli ultimi giorni. Solo gli ultimi di una lunga serie, ma molto significativi. L’Aula di Palazzo Madama ha votato qualche giorno fa, ultimo paese europeo, la ratifica del trattato di Strasburgo del ’99 contro la corruzione. Ebbene, tra i voti favorevoli c’è stato quello del senatore Lusi, al centro di un’inchiesta clamorosa di corruzione per aver sottratto fondi della Margherita, un partito che non c’è più ma che continua a gestire un flusso enorme di soldi e un patrimonio immobiliare di tutto rispetto.

Secondo episodio. La scorsa settimana, il senatore Carlo Vizzini aveva dato il via libera alla magistratura di Palermo per l’utilizzo in un’indagine di intercettazioni che lo riguardavano. Poiché non è il singolo parlamentare che può esprimersi su queste vicende, la richiesta della procura di Palermo è stata messa ai voti e, indovinate un po’, è stata respinta dalla stragrande maggioranza dell’Aula.

Ecco, quando parlo di distanza tra il Palazzo e la gente comune mi riferisco a episodi come questi, all’ipocrisia da una parte e all’istinto di sopravvivenza che porta all’autoconservazione di privilegi odiosi e assurdi.

Per questo a Torino ho ascoltato con enorme interesse tutti gli interventi al convegno. Non abbiamo discusso di pura teoria, ma affrontato i principali temi dell’agibilità democratica del nostro Paese.

Tutti ci siamo trovati d’accordo su un punto: non esiste un sistema perfetto che non sia anche accompagnato da un forte senso dell’etica nella gestione della cosa pubblica e il caso Lusi ne è un esempio lampante: tesoriere indagato per corruzione di un partito che non c’è più e che non si presenta alle elezioni da alcuni anni. E’ già odioso che venga indagato un politico di un partito rappresentato in Parlamento, se poi si scoprono le magagne di un esponente politico, senatore di un partito e tesoriere di un altro partito, estinto, che continua a gestire soldi pubblici a palate, è insopportabile.

Senza un ritorno al senso dell’etica ogni tentativo di autoriforma dei partiti è destinato a fallire. Del resto, come ha detto il professor Zagrebelsky, le istituzioni possono essere perfette ma se sono in mano a una classe politica corrotta produrranno corruzione. Aggiungo che lo stesso Zagrebelsky è sembrato piuttosto pessimista sulla possibilità di autoriforma della politica, ma una via di uscita l’ha comunque elaborata: chiunque viva con disagio il degrado della politica, chiunque abbia passione e competenza si faccia avanti. Anche nei partiti politici, come nelle pubbliche amministrazioni, esistono persone per bene che devono uscire dal silenzio. Un po’ poco ma almeno uno spiraglio c’è.

Ma come fare se i partiti sono bloccati e autoreferenziali? In questo caso, è stata l’analisi del procuratore capo Caselli, si aprono praterie sconfinate all’intervento giudiziario, a volte con una vera e propria delega per incapacità propria.

Insomma, il quadro emerso è stato nero. L’autoriforma dei partiti è pressoché impossibile. Per dirla con Barbacetto, non sappiamo se questa crisi prelude allo sfascio o al rinnovamento. Del resto, l’Italia è l’unico paese occidentale che ha già avuto una volta un collasso del sistema dei partiti, nel ’92. Il giornalista del Fatto teme che siamo alla vigilia di un secondo collasso e i partiti, in tutto questo, sembrano non accorgersi di nulla e ballano sul Titanic.

Da una parte, però, si può cominciare: raccogliamo le firme per abrogare il finanziamento pubblico. Con meno soldi in tasca e una legge sui bilanci trasparente la corruzione nei partiti non può che diminuire.

Non ci sfugge che vi è il rischio concreto che la politica possa essere fatta solo da chi è ricco. Ma allora si agisce su due fronti: si diminuiscano i rimborsi e di approvi una legge stringente sui controlli. Chi sbaglia o imbroglia, paghi. Come? Con la radiazione dal partito, a tutti i livelli.

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