Maymun Muhyadine Modamed dando calci ha fatto Gol

Io penso che al computer anche alcune donne arabe ci si mettano con forza e amore…non è un caso che è arrivata la notizia, tra altre atroci di guerra mortalità infantile e infibulazione … che una splendida loro compagna a forza di calci e ostinazione è entrata in Rete e siamo venute a sapere la sua storia: spero la conoscano più persone. La riprendo attingendo quì e la, così come io mi ci sono incontrata. Maymun Muhyadine Modamed è stata una donna in fuga dagli orrori, piaccia o non piaccia ha fatto lei Gol e nessuno può e potrà contenerla. “I don’t want money. I don’t need money,” she says. “I only want the chance to continue playing football and feeling joy.”
Feeling Good a tutte le piccole grandi donne nel mondo e che siano felici, perchè non è peccato.
Doriana Goracci

Somalia, minacce di morte alle donne che giocano a calcio
“Le donne non devono praticare sport. Smetti di giocare e rimettiti il tuo hijab”. Queste le parole che un gruppo di miliziani di al Shabaab aveva detto a Maymun Muhyadine Modamed, una ragazza costretta a fuggire da Mogadisho, la cui storia è stata raccolta e raccontata da operatori dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr). La sua colpa è quella di essere una calciatrice provetta. Era brava: aveva addirittura vinto una medaglia e una coppa. Premi che ha venduto per pagarsi la fuga verso nord, verso il campo profughi di Ali Addeh, in Gibuti. Perché i miliziani somali, che controllano quasi tutto il centro e il sud della Somalia, non si sono accontentati degli avvertimenti. Sono passati alle vie di fatto. Prima hanno ordinato al marito di Maymun di tenerla sotto controllo e di non lasciarla giocare. Poi, hanno preso le armi. Il giovane consorte si era rifiutato di togliere alla moglie la possibilità di praticare quello sport che le faceva brillare gli occhi di gioia e aveva invitato i miliziani a farsi gli affri propri. Un atto d’amore che Andi Abu Bakar ha pagato con la vita. Maymun era incinta, al quarto mese di gravidanza. Ha aspettato che la piccola Fahima venisse alla luce e poi, con i trenta dollari raccimolati vendendo coppa e medaglia, si è messa in marcia. Oggi frequenta la scuola elementare e trascorre i pomeriggi giocando a pallone con gli altri ragazzi che vivono nel campo di Ali Addeh.
Un gol contro il fondamentalismo
Non si può scegliere un sogno. Maymun Muhyadine Mohamed racconta la sua storia ai volontari Onu nel campo profughi di Ali Addeh, Gibuti. Poco oltre il confine somalo. Mogadiscio è sotto lo scacco dei guerriglieri Shaabab, il braccio di al-qaeda nella regione. Parla di come gli integralisti hanno minacciato la sua famiglia e ucciso suo marito, dopo averlo picchiato a sangue. Scene che in confronto le paranoie di Jess, protagonista del filmSognando Beckhamsono scatti da fotoromanzo.Già, perché Maymun ama il calcio, corre nelle strade della sua città praticamente contro tutto: religione, ragazzacci, scuola e terreno. Perfino lo sterrato di quelle vie e la polvere credono di poterla piegare. Nessuno ci riesce fino all’estate scorsa, quando vince un torneo e riceve come premio un berretto e una medaglia. Quello è il giorno più bello della sua vita. È l’unica donna della squadra, un duro smacco per l’integralismo religioso e gli inquisitori di Allah iniziano la persecuzione: “Mi ringhiarono che le donne non possono fare sport. Devi smettere, indossare ilhijab, abito e copricapo islamico”. Non è che la fede scarseggi, ma anche provandoci il vestito troppo lungo ostacola la corsa, smorza il movimento, nessuna speranza di contropiede. Così non vale, non si può fare.Gli Shaabab allora fanno visita a suo marito, accusandolo di essere una vergogna, un eretico e di non farsi rispettare dalla propria moglie. Abdi Abu Bakar, 23 anni, sa che il calcio per lei è la vita e decide di resistere. “Gli disse di farsi i fatti loro”. Così una notte circondano la casa dove vivono e lo uccidono. Questa è una realtà tragica e non risponde a nessunclichédelle teorie multiculturali euroamericane. La cultura delle differenze, i sermoni femministi sono a migliaia di chilometri di distanza, qui non hanno senso, qui si muore davvero. Vallo a chiedere a un miliziano somalo cosa ne pensa dei diritti civili e della difesa delle identità. Di sicuro non ammetterà repliche.”Quando Abdi è morto, ero incinta di quattro mesi”. Maymun resta a Mogadiscio fino alla nascita di sua figlia Fahima. Poi fugge. Vende la medaglia e il cappello, la sua anima, per 30 dollari americani e una mappa dell’Africa Orientale. Dove andare? Due strade verso nord, una più a est: il Kenya e il campo profughi di Dadaab o la piccola Gibuti. Ma per arrivare a Dadaab si deve attraversare un territorio pericoloso, i ribelli sono dappertutto e combattono tutti i giorni contro l’esercito regolare. Allora Gibuti. Con un camion e una bambina in braccio puoi arrivare lontano, ma con 30 dollari in tasca sei fortunato se raggiungi il confine e non sei da solo. Maymun si unisce a un gruppo di famiglie che percorrono a piedi gli ultimi tratti di Somalia: “Eravamo 38 persone ad attraversare la frontiera”. Trentuno di loro avrebbero raggiunto la costa e continuato il viaggio via mare, in cerca di un lavoro in Yemen o Arabia Saudita. Quasi nessuno conosce la situazione al di là del Mar Rosso. C’è ottimismo, chi è in viaggio si concentra su ciò che ha lasciato senza badare al futuro, perché crede che non possa esistere una terra più maledetta di quella. Una sola certezza: una delle squadre di calcio yemenite, quella più seguita, si chiama Al-Sha’ab. La somiglianza supera la fonetica e Maymun decide di restare in Africa.Va a scuola di mattina e gioca a calcio con i ragazzi nel pomeriggio. Ricorda ancora il giorno in cui ha perso suo marito e il momento in cui ha dovuto vendere i suoi trofei. ”Inshallah, se mai vincerò ancora qualcosa non la darò via per soldi. Terrò tutto da parte per mia figlia e un giorno si ricorderà di me”. Per Maymun il futuro è imperfetto. Per cominciare è senza soldi né sicurezza. Dice di voler solo giocare a calcio: “Questo è il mio sogno, il resto non fa differenza”.

La storia di Maymun, fuggita dalla Somalia per amore del calcio

Una passione stroncata sul nascere quella della somala Maymun Muhyadine Mohamed per il calcio e la corsa. Affermando che ”le donne non possono praticare sport”, i miliziani islamici di al-Shabab hanno considerato la sua gioia e o suoi risultati nello sport come un atto di sfida e le hanno impedito di continuare. Dal campo rifugiati di Ali Addeh, in Gibuti, la donna ricorda oggi di essersi sentita chiedere di ”abbandonare lo sport e indossare l’hijab”, il velo islamico che copre il capo. Abbigliamento che la Maymun indossava quando non giocava a calcio e che toglieva solo durante gli allenamenti e le partite, in quanto l’abito lungo le impediva di muoversi agilmente. Ma i miliziani di al-Shabab non ammisero condizioni, dicendo alla donna che sarebbe stata giustiziata nel caso in cui avesse continuato a praticare il calcio. Lo scorso anno i miliziani islamici hanno detto al marito di Maymun di controllare sua moglie, ma Abdi Abu Bakar, 23 anni, disse che la consorte traeva gioia dal gioco del calcio. E cosi’, una notte, la loro abitazione venne attaccata e l’uomo fu ucciso. ”Quando mio marito mori’ ero incinta di quattro mesi”, racconta Maymun, che rimase a Mogadiscio fino alla nascita della figlia Fahima. A quel punto decise di scappare, vendendo la medaglia che aveva conquistato nel calcio per 30 dollari americani e usando quei soldi per lasciare la Somalia.Maymun poteva scegliere se andare in un campo rifugiati a Dadaab in Kenya o fare un viaggio piu’ lungo e arrivare in Gibuti. “C’erano diversi combattenti sulla via per Dadaab – racconta – Ma la strada per il Gibuti era sicura”. I 30 dollari che aveva con se’ non le bastarono per varcare il confine, a bordo di un camion con la sua bambina, e si trovo’ costretta a chiedere aiuto e un passaggio ai camionisti che trasportavano frutta e verdura tra Somalila e Gibuti. Una volta qui scopri’ che molti di coloro che avevano lasciato la Somalia avevano in programma di attraversare il Mar Rosso e di andare a lavorare in Yemen e Arabia Saudita.”Eravamo in 38 ad attraversare il confine”, dice, aggiungendo che 31 del suo gruppo hanno deciso di continuare per lo Yemen. Maymun si e’ rifiutata di prendersi questo rischio con sua figlia. ”Sono stata assistita da agenzie per i rifugiati” del Gibuti, prosegue. Nel campo di Ali Addeh, Maymun frequenta la scuola primaria la mattina e gioca a calcio con i ragazzi al pomeriggio. Ha sempre rifiutato le promesse dei trafficanti di essere umani che sono giunti al campo. ”Voglio solo giocare a calcio e essere felice”, dice, promettendo che ”se mai vincero’ ancora dei trofei non li vendero’ e li mostrero’ a mia figlia”.

vera1 Maymun Muhyadine Modamed dando  calci ha fatto Gol

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy