Camorra a Bologna, un vulcano pronto a esplodere

di Ilaria Giupponi

Nuovi rigurgiti di camorra a Bologna. Altri tre arresti nel capoluogo emiliano romagnolo, eseguiti dai carabinieri del Ros: Francesco Agostinelli, 46 anni di Urbino, il 31enne catanese Francesco Sinatra, e Salvatore Di Puorto, 38 anni, originario del Casertano e fratello di Sigismondo Di Puorto (numero tre dei Casalesi e supposto capoclan dell’ala modenese aversana), sono finiti in manette con l’accusa di estorsione e rapina in concorso con l’aggravante dei metodi mafiosi, consistente nell’avvalersi della forza di intimidazione proveniente dal vincolo associativo.

I tre accusati sono parte integrante dell’inchiesta Vulcano, avviata nel 2009, e che a marzo dell’anno scorso aveva portato dietro le sbarre 10 presunti affiliati ai clan campani tra cui, oltre ai Casalesi e esponenti della fazione degli Schiavone (uno fra tutti Pasquale Maisto), spiccano i nomi di Franco Vallefuoco e il boss Giuseppe Mariniello, nonché alcuni notabili sanmarinesi. Una coalizione fra clan che arrivava fino alla finanza della Repubblica indipendente (la finanziaria Fincapital, di cui lo stesso Agostinelli dichiara di far parte, fu commissariata durante l’indagine). L’accusa: estorsione aggravata con metodi mafiosi e usura. Niente associazione mafiosa. Allora come oggi. Ma lo stampo del metodo, riconosciuto dai magistrati, è quello. E, allora come oggi, le vittime sono imprenditori romagnoli, nelle cui attività economiche i tre nuovi accusati, avrebbero tentato di infiltrarsi, usurpandone più o meno lentamente il controllo. Imprenditori che usano la camorra per risucchiare altri imprenditori. Francesco Agostinelli, imprenditore molto noto a San Marino, esce proprio da qui.

Uno dei mezzi dell’insinuazione scoperti dagli inquirenti nell’operazione Vulcano, è quello di creare fittizie società di recupero crediti, per prelevare più denaro di quanto non ne concedessero agli imprenditori in difficoltà – per altro non di rado già strozzati dai prestiti usurai precedentemente concessi dagli “amici degli amici”.
Due delle tre ordinanze di custodia cautelare richieste dal pm Enrico Cieri della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, hanno una particolarità: hanno raggiunto Agostinelli e Sinatra agli arresti domiciliari dall’anno scorso per detenzione di armi e droga. E dalle loro rispettiva case, a Fano nelle Marche il primo, a Castel Bolognese (in provincia di Ravenna) il secondo, evidentemente continuavano a intrattenere le loro attività. Tanto che Agostinelli, una decina di giorni fa, avrebbe fatto un’offerta (rigettata) di ben 23 milioni di euro per l’acquisizione della Banca Commerciale Sammarinese. A Di Puorto invece, l’ordine è stato notificato a San Cipriano d’Aversa.
Il filo rosso con la camorra, per ora, sarebbe “solo” nei legami, o nel sangue, come nel caso di quest’ultimo.
I Casalesi – che in seguito a un regolamento pacifico fra bande che ha spartito il territorio con i Vallefuoco tramite la figura ponte di “zio Peppe” (Giuseppe Mariniello) – in Riviera ormai fanno da padroni. Da tempo hanno messo le mani nella vita economica e personale di alcuni imprenditori romagnoli.
La volta scorsa, oltre ai ricatti, per uno di loro l’estorsione era avvenuta anche tramite le minacce di rapimento dei figli, o addirittura costringendo uno dei due imprenditori ad assistere, pistole alla ano, al pestaggio dell’altro. Così, il messaggio è chiaro.

Stavolta, l’intimidazione sarebbe avvenuta proprio attraverso la dichiarazione di affiliazione al clan dei tre estorsori stessi. Agostinelli, Sinatra e Di Puorto ci erano quasi riusciti, stando alle ricostruzioni degli inquirenti, a farsi cedere dalla disperazione delle vittime aziende e immobili. Da aggiungere ai 200 mila euro trovati nel corso delle indagini, andrebbe aggiunto anche l’intento macabro: far sottoscrivere una polizza sulla vita, incassata una volta provocata la morte delle vittime romagnole.
Già l’anno scorso, il procuratore capo di Bologna, e coordinatore della Dda dell’Emila Romagna Roberto Alfonso, aveva dichiarato: “la Romagna è ormai terreno di conquista dei clan campani. L’inchiesta aveva, sempre secondo il procuratore, confermato “il tentativo di infiltrazioni in regione da parte della criminalità organizzata di diverse zone del sud”.

Contemporaneamente, gli imprenditori vessati vanno ad aggiungersi ai circa 2000 imprenditori vittime del racket, denunciato dal XIII rapporto di Confesercenti SOS-Impresa, sempre secondo il quale però, a un aumento dei sequestri dei finanzieri e delle operazioni dei vari dipartimenti dell’antimafia in Emilia Romagna, corrisponderebbe un calo delle denunce del 19%. In apparente contrasto col fenomeno del racket, le relazioni semestrali della Direzione investigativa antimafia sulle estorsioni commesse nell’anno 2010, registrano un calo delle denunce del reato che non collima con il raddoppio delle operazioni anti-usura realizzate da magistratura e forze dell’ordine. Un dato che racconta, come più volte ricordato anche dal neo capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, come al nord, si denunci meno che al sud. Assieme alle mafie, ha trovato terra fertile anche l’omertà.

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