Nel mondo Fiat i doveri sono di serie ma il diritto è un optional. Decide Marchionne cosa è giusto e cosa no, il resto non conta, nemmeno se si tratta del governo. Vige una strana proprietà commutativa, per cui cambiando l’ordine dei ministri il risultato non cambia: Fiat fa quello che gli pare, gli operai o fanno buon viso a cattivo gioco oppure stanno a casa, soprattutto se hanno simpatie per la Fiom, e il governo di turno resta a guardare o, al più, si limita a balbettare qualcosa di incosistente. Basta soffermarsi a quello che è successo nelle ultime settimane, io l’ho ricordato prendendo la parola in Aula.
Il 23 febbraio la Corte d’appello di Potenza ordina alla Fiat di reintegrare nello stabilimento di Melfi i tre operai Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, ingiustamente licenziati nell’estate del 2010. Fiat, nonostante l’esecutività della sentenza, non reintegra sul posto i tre lavoratori, guarda caso tutti iscritti alla Fiom.
Il 24 febbraio, cioè il giorno successivo, Marchionne afferma in un’intervista al Corriere della Sera che se la Fiat non riuscirà a vincere la sfida del mercato americano chiuderà altri due stabilimenti in Italia.
Il 28 febbraio, ancora l’ad del Lingotto conferma l’impegno in Italia ma nello stile ricattatorio che gli è proprio precisa: “Non vogliamo avere ostacoli, querele ed altro”.
Il 5 marzo, il quotidiano “la Repubblica”, nell’inserto “Affari e Finanza”, scrive che Fiat sarebbe pronta a sacrificare Pomigliano e Mirafiori. Lo stesso giorno il ministro Fornero dice di aver parlato con Marchionne e con John Elkann e di aver ricevuto rassicurazioni che le agenzie di stampa avevano riportato cose non vere. Dopo qualche minuto, una nota ufficiale di Fiat smentisce che due stabilimenti sarebbero stati chiusi.
Insomma, di tutto di più senza che il governo sentisse il dovere di presentarsi nelle sedi istituzionali e dire cosa esattamente sa sulle intenzioni del più importante gruppo industriale italiano. Tutto affidato a quotidiani e agenzie di stampa, come se il Parlamento non esistesse. Così non va.
Quando il maggior gruppo italiano straccia e annulla i contratti di lavoro nazionali e aziendali, quando ignora le sentenze della magistratura come quella che impone il reintegro di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, quando apre i bagni per verificare cosa fanno gli operai, quando a fine turno obbliga gli operai ad ammettere gli errori commessi durante la giornata, impedendogli così di andare a mensa, quando a Pomigliano d’Arco non fa rientrare dalla cassa integrazione alcun iscritto alla Fiom, quando tutto questo accade, io ritengo che il ministro del Welfare Fornero, anziché gingillarci con l’art. 18, abbia il dovere di venire a riferire in Aula per dirci quali rapporti il Ministero ha con Fiat e a quali condizioni Fiat vuol mantenere gli stabilimenti in Italia.
Marchionne non può mettersi al di fuori delle regole e il governo non deve permetterglielo. Democrazia e lavoro non sono solo belle parole, sono due pilastri della nostra Costituzione che vanno difesi sempre e ovunque. Per questo venerdì saremo in piazza accanto alla Fiom: bisogna riaffermare la democrazia e la legalità nelle fabbriche, bisogna ricordare al governo che ha il dovere di intervenire.