Sos Basilicata

Oggi l’Europa scrive l’ennesimo fallimento delle politiche emergenziali tipicamente italiane. Anni che hanno trascinato il Paese in una profonda crisi economica, sociale, culturale, ambientale e, prima di tutto, etica. Non mi stupisce, allora, ma mi rammarica, la procedura d’infrazione che oggi la Commissione europea ha aperto nei confronti dell’Italia per almeno 102 discariche “non a norma”, ovvero non conformi alla direttiva Ue del 1999, di cui tre di rifiuti pericolosi. Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria, le Regioni interessate.

E parliamo solo di discariche “esistenti”, cioè di discariche a cui era stato concesso un permesso o che erano già operative al momento della trasposizione della direttiva e che l’Italia doveva “solo” regolarizzare. Se apriamo il capitolo di quelle “non esistenti”, ovvero delle discariche che non hanno i requisiti per essere definite tali ma che vengono usate come “luoghi di abbandono illegale o non controllato di rifiuti”, c’è da rabbrividire. Solo la Basilicata, secondo il Corpo Forestale dello Stato, ne ha contate ben 152!

Tutta colpa di un approccio miope e sbagliato alla gestione dei rifiuti che ha portato la Basilicata ad una criticità allarmante. Denuncio da tempo l’emergenza ambientale in cui si trova la mia Regione nell’indifferenza, se non nella complicità, di una politica locale assente che sta trasformando la Basilicata nella pattumiera d’Europa.

Un altro esempio è il silenzio con cui si consente a grossi gruppi come l’Eni di scherzare con la pelle dei lucani. Sto parlando dei dati sull’inquinamento del Centro Oli Val D’Agri. Come si può pensare che sia l’Eni a controllare il rispetto delle norme ambientali di un polo industriale di sua proprietà? Lo capirebbe anche un bambino che non avrebbe alcun interesse ad autodenunciarsi.

E poi, come se non bastasse, quegli stessi numeri diffusi dall’Eni sono stati contestati in una sede istituzionale qual è il consiglio comunale, al quale hanno partecipato esponenti autorevoli delle istituzioni. Contestati dal consulente tecnico del Comune i risultati dei controlli effettuati, ma anche il sistema stesso dei monitoraggi. Un sistema incoerente, sballato, superficiale, incapace di arrivare a dati certi.
Eppure, di fronte a questa denuncia, fino a oggi, nessuno ha mosso un dito. Una vergogna, se si pensa che in base ai risultati forniti dai monitoraggi vengono applicate le normative europee in materia di diritto all’ambiente e alla salute. Come possono stare tranquilli, allora, i lucani? E come possono lavarsene le mani le istituzioni?
Per questo motivo ho chiesto, in un’interrogazione parlamentare, al ministro dell’Ambiente, Clini, e al titolare del dicastero dello Sviluppo Economico, Passera, di intervenire con l’attivazione di una efficiente e completa rete di monitoraggio affidata a soggetti terzi.

E’ ora di muoversi. Dai rifiuti all’inquinamento, l’Europa ci chiede da tempo di cambiare passo. La politica, soprattutto adesso, ascolti le richieste che vengono dal territorio. Non a caso, e parlo solo della Basilicata, tra le idee più votate su politicaevalori.it c’è proprio la richiesta di chiusura degli impianti inquinanti e il rilancio del turismo. Affinchè il Sud sia volano di sviluppo e non un pozzo senza fondo per gli affari illeciti di tutt’Italia.

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