L’OPERAZIONE S. FRANCESCO SALVO’ IL LUPO APPENNINICO

Brevi riflessioni di Franco Tassi a margine della Mostra “Il Luparo” di Amedeo Lanci

PESCARA – Torna a farsi sentire sulle nostre montagne l’ululato del lupo. Ma non si tratta del risveglio d’un incubo atavico, quanto piuttosto il ritorno alla natura di una delle sue creature più straordinarie. Le intense nevicate di questo inverno sono la cornice casuale ma al tempo stesso del tutto coerente con il tema di una mostra al Museo delle Genti a Pescara, assai singolare: “Il Luparo”, dell’artista Amedeo Lanci, scomparso un anno fa a Firenze. Lanci ha voluto rappresentare attraverso la magia e i colori delle sue opere una figura estinta, quella del cacciatore di lupi, un mito dell’immaginario di un passato nemmeno tanto lontano, inserito nel contesto della secolare transumanza abruzzese che fu tra gli scenari della sua infanzia. La mostra è stata al centro di riflessioni antropologiche, artistiche, ambientali e naturalistiche, promosse dalla Direzione del Museo con la collaborazione dell’Associazione Amedeo Lanci, dell’Associazione ASTRA e di Italia Nostra di Pescara. Tra queste è interessante registrare il contributo di Franco Tassi, storico direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, noto nell’ambito degli studiosi europei per l’Operazione San Francesco, che all’inizio degli anni settanta salvò dall’estinzione il lupo appenninico.

Antonio Bini

L’operazione San Francesco salvò il lupo
La testimonianza di Franco Tassi

Oggi si potrà pure discutere di come e quanto proteggere concretamente il lupo e gli altri grandi carnivori: ma il principio della loro tutela resta comunque un impegno civile ormai chiaramente sancito dalle leggi italiane e dalle normative europee. Non è facile però immaginare quanto diversa fosse la situazione verso la metà del secolo scorso.
Per avere un’idea della mentalità allora dominante, e del ruolo occupato dal “lupo cattivo” nell’immaginario collettivo, basterebbe ricordare le favole del lupo e l’agnello, di Cappuccetto Rosso e dei Tre Porcellini, o certe paurose storie di assalti massicci di grandi branchi di lupi mai documentate, eppure largamente circolanti… Oppure ripercorrere le scene del famoso film “Uomini e lupi”, di Giuseppe De Santis, espressione tipica del neorealismo, girato nell’anno delle più forti nevicate (1956) tra Scanno, Frattura e Pescasseroli, in Abruzzo. Un film che rievoca la dura vita di pastori, allevatori e lupari assediati dal freddo e dai “famelici” predatori.
Appena una cinquantina d’anni fa, il lupo in Italia era ormai al limite dell’estinzione. Non ne sopravvivevano che poche centinaia di individui, rifugiati nei recessi più remoti della montagna appenninica, dal parco d’Abruzzo alla Calabria. Insidiati con tagliole e veleni, inseguiti con vere e proprie battute, braccati con fucili a pallettoni… Continuando così, del lupo delle favole e delle leggende non sarebbe rimasto che uno sbiadito ricordo.
A ribaltare completamente la situazione fu, al principio degli anni Settanta, una vivace scintilla partita proprio dal Parco nazionale d’Abruzzo, con il nome di Operazione San Francesco. E non fu un caso che si ispirasse a Roma, città della lupa che allevò Romolo e Remo, e all’Italia centrale, teatro dell’incontro del santo di Assisi con il lupo di Gubbio. Considerata a livello internazionale come la campagna eco-sociologica del secolo scorso che ha avuto maggior successo, si sviluppò in varie fasi: anzitutto la demolizione della “leggenda del lupo cattivo”, poi una corretta informazione sulla vita di questo animale straordinario, e di conseguenza la sua graduale protezione (anzitutto vietando tagliole, veleni e battute), quindi un programma di ricerca scientifica: e inoltre il risarcimento dei danni subiti dai pastori.
Molto importante fu anche la prevenzione degli attacchi alle greggi, incoraggiando l’impiego del cane da pastore, o mastino abruzzese, attraverso il Progetto Arma Bianca. Ma al tempo stesso venne avviata una continua opera di divulgazione, con proiezioni e discussioni, per il coinvolgimento graduale dei giovani locali. E soprattutto l’incontro e il contatto continuo tra visitatori, abitanti e un branco di lupi in piena attività, grazie all’idea e all’esempio pilota dell’area faunistica.
Non è infatti un mistero che il merito del salvataggio del lupo appenninico spetta soprattutto alla famosa collina dei lupi, allestita nel 1973 a Civitella Alfedena e affacciata panoramicamente sul lago di Barrea, diventata ben presto una formidabile attrazione a livello nazionale e internazionale. Osservando da vicino la vita sociale di quegli animali selvatici, vedendoli correre e giocare, riposare e mangiare, nascere e morire – come non era stato mai possibile prima – la loro fama di gratuita malvagità si sgretolò rapidamente, molti bimbi del paese crebbero rispondendo agli ululati dei cuccioli, tutti incominciarono ad amarli e vollero proteggerli davvero. Anche perché si accorsero ben presto che il crescente ecoturismo portava grandi benefici, e che il vero benessere della comunità locale non sarebbe certo scaturito dallo sterminio della fauna più preziosa né dal devastante consumo della natura, ma piuttosto dall’intelligente salvaguardia di questo patrimonio.
L’avventura del “lupo cattivo” ormai redento è in fondo la chiara metafora di un Abruzzo diventato la “Regione Verde d’Europa”, famosa per i suoi parchi, le sue montagne, le sue foreste e i suoi orsi e camosci. Un territorio il cui futuro più promettente risiede soprattutto nella capacità di salvaguardare e ben amministrare quel tesoro unico di cui la natura, la storia e la tenacia delle sue genti lo hanno dotato.

La Mostra “Il Luparo”, promossa dall’Associazione Amedeo Lanci di Firenze, si tiene presso il Museo delle Genti d’Abruzzo, in via delle Caserme a Pescara, fino al 10 marzo 2012. Ingresso libero – http://www.gentidabruzzo.it

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