UN FRUTTO DELLA CRISI: DISOCCUPAZIONE

Premesso che da noi sarebbero servite riforme e non solo manovre, il mercato del lavoro è quello che più ha risentito della crisi economico/finanziaria che ha investito l’Italia. I dati parlano chiaro: quattro milioni di connazionali, con meno di 35 anni, non sono ancora riusciti a trovare un’occupazione a tempo indeterminato. Solo uno su quattro, negli ultimi cinque anni, s’è sistemato. Magra consolazione se si considera che i “sistemati” rappresentano solo il 19% della potenziale forza lavoro nazionale in crisi occupazionale. Il restante 81% dei “disoccupati” tira avanti con contratti di collaborazione, impieghi a termine, rapporti part-time o, come ultima trovata, con l’occupazione interinale ( che significa in affitto). Quindi, a ben osservare, da noi il mondo del lavoro non è riuscito ad offrire nulla di più delle incertezze che, ci auguriamo, l’Esecutivo Monti, sia in grado di ridimensionare. Del resto, in questa patologica situazione, anche l’età anagrafica può giocare un suo ruolo. Chi ha superato i 35 anni, pur con esperienza occupazionale precedente, perde ogni agevolazione sul fronte del lavoro. Tra i 18 ed i 34 anni, molti hanno trovato una sistemazione temporanea. Tra questa fitta umanità, il 48% ha un diploma di scuola media superiore, il 23% è laureato e tutti gli altri, dopo la licenza media, possono solo fare valere un attestato di qualifica professionale. Le prospettive, in ogni caso, restano assai limitate e non è neppure il caso d’ipotizzare il futuro trattamento previdenziale per chi, un giorno, sarà “vecchio”. Tra le varie forme di part-time, si è affermata quella “ciclica”, che significa avere un lavoro solo in certi periodi dell’anno. Anche sotto questo profilo, i “fortunati” sono pochi. Migliore prospettive, pur se a termine, restano quelle correlate al lavoro interinale. Ad esso fanno capo giovani assunti, a contratto, da imprese fornitrici di lavoro che li avviano presso aziende con necessità di un determinato tipo d’operatore. Anche in questo caso, però, nessuna certezza per il futuro è garantita. Per concludere, il sesso ha una sua importanza sulle possibilità occupazionali. Da noi, lavorano, a tempo parziale, il 37% delle donne ( sempre d’età compresa tra i 18 ed i 35 anni). Gli uomini non raggiungono il 20% e, speso, sì auto sistemano in attività lavorative differenti. Se la tendenza non dovesse cambiare, ma noi ne dubitiamo, entro il 2015, saranno più d’otto milioni i lavoratori che saranno costretti a vivere alla giornata. Con queste premesse, che sentiamo sulla nostra pelle, staremo a vedere come il Governo Tecnico riuscirà a sbrogliare il nodo della matassa. In questa realtà, neppure ci consola che i partiti non siano più presenti nei gangli vitali di un Paese alla deriva. Certo è che senza investimenti occupazionali, la liberalizzazione del lavoro avrà una consistenza, in sostanza, nulla. Se la produttività non sarà incentivata, come e quando non spetta a noi prevederlo, l’occupazione tenderà a calare. Sarà l’ennesimo frutto di quella politica sbagliata che, a tempo debito, non è stata messa nelle condizioni di favorire sbocchi lavorativi di facile interscambiabilità. Così, sono i giovani d’oggi a dover pagare gli errori dei loro padri e della classe politica di quest’ultimo ventennio.

Giorgio Brignola

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