GIORNALISTI. CONSIGLIO nazionale il 18/19/20 gennaio. Il tema è: come salvare i pubblicisti.

Non è possibile chiedere l’esame di stato per l'accesso a questo elenco: i pubblicistinon svolgono la professione ed oggi, dice la Cassazione, non possono lavorare nelle redazioni. E’ possibile ipotizzare la sopravvivenza dell’elenco esistente
ma soltanto ad esaurimento. Lavorare sulla “proposta Abruzzo”

Sanatoria per i pubblicisti che vivono di giornalismo con l’iscrizione d’ufficio al Registro dei praticanti e l’ammissione conseguente all’esame di “abilitazione all’esercizio professionale” (artt. 33, V comma, della Costituzione e 32 della legge 69/1963).

di Francesco M. De Bonis

Milano, 4 gennaio 2012. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti si riunirà il 18/19/20 gennaio. Esaminerà argomenti delicati quale la Riforma dell’ente e la costituzione di una “Fondazione Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti”. L’impegno di affrontare simili temi era stato assunto nella precedente riunione del 13/14/15 dicembre 2011. Una riunione quella di dicembre senza risultati apprezzabili; era emerso nitidamente un quadro fosco e preoccupante: il Consiglio nazionale è apparso “prigioniero” dei 73 consiglieri pubblicisti (mentre i professionisti sono 77) e, quindi, nella incapacità di varare una bozza di dpr di riforma chiesto dai dl 138, 183 e 201/2011 (i relativi testi sono In ). Rischia la paralisi o la fine. “Muoia Sansone con tutti i filistei” è lo slogan di chi tenta di difendere l’esistenza dell’elenco pubblicisti condannato dalle leggi del Governo Berlusconi e del Governo Monti.

il dl 201 è stato convertito dalla legge n. 214 pubblicata in Gazzetta il 22 dicembre 2011. L’articolo 33 di questo dl fissa la tagliola del 13 agosto 2012: Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali – in contrasto con i princìpi di cui al comma 5, lettere da a) a g), del dl 138/2011 – sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012. Il Governo, entro il 31 dicembre 2012, provvederà a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate per effetto del comma 5-bis, in un testo unico da emanare ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400. Nell’articolo 33 c’è scritto anche che il praticantato ha una durata di 18 mesi (sul punto per i giornalisti non cambia nulla).

Il dl 138, convertito dalla legge 148/2011, è importante perché contiene un articolo 3, comma 5, che disegna la più radicale riforma degli ordinamenti professionali dopo 30 anni di dibattito. Va letto in simbiosi con le direttive comunitarie che dal 1988 in poi richiedono agli aspiranti professionisti una laurea almeno triennale e un “esame attitudinale” (equivalente al nostro esame di Stato previsto dall’articolo 33, V comma, della Costituzione, per “l’abilitazione all’esercizio professionale”). E’ altresì noto che le direttive comunitarie prevalgano sulla normativa interna o nazionale. Per quanto riguarda l’Ordine dei giornalisti l’Europa ne ha previsto la legittimità (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5828) al pari della Corte costituzionale (sentenza 11/1968 in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5813). In sostanza il comma 5 dà per scontato, nel preambolo, che gli aspiranti professionisti debbano sostenere un esame di stato per “l’abilitazione all’esercizio professionale”. Il comma 5 ha un preambolo/premessa rispetto ai principi che seguono dalla lettera a) alla lettera g). La riforma dei singoli ordinamenti ordinistici dovrà recepire obbligatoriamente i principi elencati nel comma 5 (formazione permanente continua, società tra professionisti, pubblicità informativa, abolizione delle tariffe e Consigli di disciplina). Non è possibile staccare il preambolo/premessa sull’obbligatorietà dell’esame di Stato (previsto dall’articolo 33, V comma, della Costituzione) dai principi, perché altrimenti non si capirebbe il riferimento al principio del tirocinio (=praticantato) se lo stesso non si salda con l’esame di stato che è la conclusione logica del tirocinio medesimo (che non è richiesto ai pubblicisti). Da queste considerazioni si comprende il malessere dei consiglieri nazionali pubblicisti dell’Ordine (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7982). Sanno di non avere un futuro.

Il problema è: qual è il destino degli attuali iscritti all’elenco pubblicisti dell’Albo? Le risposte pratiche possono essere due:

a) Non è possibile parlare di esame di Stato per l'accesso all'elenco pubblicisti, perché gli stessi svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita ma non la professione di giornalista ìntesa come esclusiva dopo il superamento dell’esame di Stato. Il Parlamento il 3 febbraio 1963 con la legge n. 69 ha creato l’Ordine dei Giornalisti sul presupposto dell’esistenza di una professione giornalistica (impostazione condivisa con le sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e 38/1997 dalla Corte costituzionale). La Corte costituzionale nella storica sentenza 11/1968 (sulla legittimità costituzionale dell’Ordine) ha statuito che “il giornalismo vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana del professionisti” e poi ha precisato: “L'esperienza dimostra che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana del professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali”. I pubblicisti, quindi, “non si dedicano professionalmente al giornalismo”. La Cassazione civile ha scritto e ripetuto nel tempo: “I pubblicisti non possono esercitare l’attività di redattore” (Cass. civ. Sez. lavoro, 01-07-2004, n. 12095).La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che per l'esercizio del lavoro giornalistico di redattore ordinario, cioè del giornalista professionista stabilmente inserito nell'ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, con attività caratterizzata da autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse, è necessaria l'iscrizione nell'albo dei giornalisti professionisti, e che non è idonea ad integrare detto requisito la iscrizione nel diverso albo dei giornalisti pubblicisti”. (Cass. civ. Sez. lavoro, 21-05-2002, n. 7461)

b) Il Consiglio nazionale nella risposta che il 23 ottobre 2011 ha trasmesso al Ministero di Giustizia scrive sul punto: “Il riferimento all’art. 33 della Costituzione, qualora dovesse restare esclusivo per quanto concerne l’accesso, priverebbe l’Albo dei Giornalisti dalla presenza della componente dei pubblicisti, il cui elenco, unitamente a quello dei professionisti che hanno superato l’esame di Stato, ne costituisce l’ossatura. Se per i pubblicisti già in elenco la nuova regolamentazione dovrà provvedere opportune forme conservative dell’iscrizione per tutti quei giornalisti che esercitano professionalmente l’attività ma in forma non esclusiva occorrerà trovare risposte normative che non disperdano il patrimonio culturale di una categoria che da oltre un secolo arricchisce la professione (ad esempio potrebbero individuarsi percorsi firmativi professionalizzanti)”.

Il Consiglio nazionale stenta a comprendere che, dopo i dl 138, 183 e 201/2011 e il varo dei correlati decreti attuativi, ai Consigli regionali dell’Ordine è vietato procedere alla iscrizione di nuovi pubblicisti. Resta in piedi la proposta Abruzzo (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7980) che trova le “risposte nornative” e prevede un articolo 74 (TITOLO V. Disposizioni finali e transitorie) così strutturato:

“comma 1. I pubblicisti, iscritti negli elenchi dell’Albo previsto dalla legge 69/1963, vi rimangono iscritti ad esaurimento degli elenchi medesimi. Gli stessi sono tenuti ad osservare le regole deontologiche (di cui al “Titolo III. Della disciplina degli iscritti”) e a versare le quote annuali fissate nell’articolo 11/h”.

“comma 2. I pubblicisti, che all’entrata in vigore di questo regolamento, vivono documentalmente di giornalismo percependo emolumenti non inferiori a quelli previsti contrattualmente per i praticanti giornalisti, possono chiedere, – osservate le norme di cui agli articoli 29, 31, 32 e 33, – al Consigli regionali l’iscrizione al Registro dei praticanti e l’ammissione all’esame di Stato per accedere all’esercizio della professione di giornalista”.

Nonostante gli sforzi interpretativi e la chiarezza delle note di www.francoabruzzo.it, devo. però, annotare, con stupore, che la gravità di quanto sta accadendo non è percepita appieno dal Consiglio nazionale. L’unica persona lucida è Michele Partipilo, già presidente dell’Ordine della Puglia, che ha presentato una bozza (il cronista ne ha copia) di documento che prevede una premessa riepilogativa sulla libertà d'informazione e il ruolo del giornalista; l'inserimento dei pubblicisti, come sostiene Abruzzo, in un elenco a esaurimento, annesso all'Albo; una rappresentanza dei pubblicisti (in deroga a quanto previsto dal dl 138/2011 almeno fino al 2024 e pari a 1/3, sia nei consigli regionali che in quello nazionale; la possibilità per i pubblicisti di sostenere l'esame di Stato nel corso dei prossimi 5 anni con il solo requisito dell'esclusività professionale e la frequenza di un corso. Orbene tutto questo è stato bollato da uno dei più autorevoli rappresentanti dei pubblicisti, l’avvocatissimo Maurizio De Tilla, come “un colpo di teatro“, una “barzelletta” che non doveva essere assolutamente raccontata in giro. Nella stessa proposta, Partipilo ha provato a tracciare delle linee per arrivare a disegnare le Commissioni (o i Consigli) di disciplina e i possibili percorsi della formazione permanente continua. Ha previsto anche delle innovazioni sui Consigli come il mandato di 4 anni e rinnovabile una sola volta; l'incompatibilità con qualsiasi altra carica in organismi professionali, il Consiglio nazionale formato da 90 giornalisti. Ovviamente tutte proposte ragionevolmente argomentate, ma emendabili e cassabili. Lo spirito che ha mosso Partipilo è stato quello di suscitare una discussione produttiva per cercare di mettere al più presto a punto una proposta concreta (una bozza del dpr) da sottoporre al Ministro della Giustizia per evitare imposizioni e la mannaia del 13 agosto. Invece, tutto è stato accantonato dopo l'esibizione di questo corifeo dei pubblicisti. Tanto che la presidenza ha anche ritirato l'impegno a trasmettere il testo Partipilo ai consiglieri in ottemperanza del diktat “non deve assolutamente circolare“. Se un osservatore esterno limitasse lo sguardo solo a questa “fotografia” penserebbe a un Consiglio ostaggio di un gruppo di pubblicisti (circostanza, purtroppo, vera). Pensiero avvalorato dalle voci secondo cui costoro starebbero cercando di formare un nuovo organismo alternativo all'Ordine, ma del quale vorrebbero “ereditare” i beni (è la “Fondazione Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti”?). Sarebbe tutto ridicolo se non fosse tragico: per la categoria e per gli italiani.

In questo momento la categoria e l'opinione pubblica devono essere informati su quanto accade (Partipilo ha anche proposto una lettera aperta da pubblicare a pagamento sui maggiori giornali). Perché se l’Ordine si muoverà per difendere i diritti dei cittadini sarà nel giusto e vincerà la battaglia; se invece l’Ordine proverà a salvare gli interessi di casta di alcuni (i pubblicisti), allora avrà fallito ogni obiettivo e si avvierà al tramonto. Così tanti pubblicisti saranno contenti al grido di “muoia Sansone con tutti i filistei” (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7489)

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