L’AQUILA, MONS. ORLANDO ANTONINI “CITTADINI E POLITICI SIANO UNITI”

Monsignor Orlando Antonini

di Pierluigi Biondi

L'AQUILA – “Gli aquilani e i politici locali dovrebbero essere 'solliciti et uniti' nella ricostruzione della città, esattamente come lo erano quando li raccontava Buccio di Ranallo”. È questo l'appello di Mons. Orlando Antonini, Nunzio apostolico in Serbia, in pratica un ambasciatore del Vaticano, nato a Villa Sant'Angelo (L'Aquila) nel 1944, con alle spalle una lunga carriera diplomatica a servizio della Santa Sede in giro per il mondo, autore di vari libri, saggi e articoli sull’architettura religiosa abruzzese. Da Belgrado monsignor Antonini risponde alle domande di AbruzzoWeb non soltanto nella sua veste di studioso, quanto piuttosto come affezionato cittadino della nostra terra.

Come è cambiato il suo rapporto con la terra d'origine dopo il terremoto?
Al momento del sisma ero in Paraguay, e potei accorrere sul posto solo dopo quattro giorni, rimanendovi fino al 28 aprile della venuta del Papa, sufficienti comunque a sperimentare le scosse successive, compresa quella da 4.2 gradi che mi ha gelato, dandomi un’idea benché molto pallida di quello che aveva potuto essere la botta distruttrice di quella notte d’inferno. Nella tragedia sono stato coinvolto con otto parenti morti, ai quali ero molto affezionato, e con casa nostra devastata anche se non crollata, e circondata completamente da macerie. Però non ho vissuto personalmente i 30 orribili secondi del sisma.
Forse è proprio questo a darmi oggi la capacità di una certa qual freddezza nell’analisi, di riuscire a pensare più al futuro che a quello che è accaduto, e di dire che, ben radicati nella fede da una parte e, dall’altra, nella speranza, dobbiamo aver fiducia e trasformare questa tragedia in una opportunità, una opportunità offerta paradossalmente dal sisma ma che non dobbiamo assolutamente mancare. Se vogliamo, possiamo ricostruire il nostro patrimonio edilizio però correggendone le storture, non congelandolo nel suo stato di fatto anteriore coi suoi squilibri ma recuperandolo “dov’era e meglio di com’era”, sia dal punto di vista materiale e strutturale che nei suoi aspetti formali. E possiamo al contempo impostare una riprogrammazione economica ed occupazionale del nostro Abruzzo aquilano. Obiettivo ambizioso, questo, che senza un evento eccezionale come il terremoto forse non riusciremmo mai a prefiggerci ma all’ottenimento del quale vorrei incoraggiare vivamente, intravvedendovi una possibile benché parziale soluzione a molti nostri problemi.
Come ha riscoperto il suo ruolo di studioso alla luce della grande sfida della ricostruzione?

Nel mio caso particolare ho visto che almeno a livello culturale, da studioso, potrei anch’io contribuire alla ricostruzione, la quinta della nostra storia, dopo i ben noti precedenti terremoti distruttori del 1315, 1349, 1461 e 1703, attraverso articoli, saggi, interviste e pubblicazioni. È quello che sto facendo col rispondere volentieri alle domande postemi in interviste come questa di Abruzzoweb. Adesso vedo bene come i talenti che il Signore elargisce agli individui, nel mio caso, avere l’occhio clinico per l’architettura, siano non a proprio vantaggio ed auto-soddisfazione ma a vantaggio della comunità. Gli studi che in questi decenni ho condotto in dettaglio sulle migliori e più qualificanti espressioni della nostra identità culturale, i monumenti religiosi, dopo i danni del sisma costituiscono testimonianza spesso unica delle architetture sacre distrutte nel loro stato originario. Possono quindi costituire utile strumento di conoscenza e anche di base per il loro recupero, naturalmente, avrei preferito far fruttificare questo talento per ben altre contingenze.
Sapendo poi quanto sia essenziale per la ripresa economica del nostro Abruzzo montano procedere ad una ricostruzione post-2009 di qualità, pur non essendo io un professionista di architettura mi sono animato già all’indomani del terremoto a diffondere gli articoli, i saggi e le pubblicazioni di cui sopra. In esse parlo principalmente delle chiese da ripristinare, proponendo per alcune interventi correttivi, ma facendo un’incursione anche nel campo urbanistico ed economico, nel tentativo di individuarvi lo strumento che permetta, con beneficio di ricasco, questa ricostruzione di qualità. Ciò nel vivo auspicio che le idee e le considerazioni ivi espresse possano risultare utili ai responsabili preposti alla ricostruzione, e magari anche, perché no?, adottate a linee ispiratrici, in materia, di futuri programmi elettorali.
Ci indica qualche strategia di ricostruzione che lei ritiene fondamentale per concorrere, oltre che alla riparazione degli edifici, anche alla rinascita socio-economica dell'Aquila e del “cratere”?
Mi scuso se ripeto quasi di peso concetti già espressi: ma repetita juvant! Pare che solo dopo l’ultimo terremoto il mondo imprenditoriale e la politica vadano ammettendo che in un Abruzzo montano da riconvertire ancora nella sua economia di base, l’unica sua industria ‘strutturale’ è l’industria turistica, vera materia prima perché la sola organica alle locali naturali potenzialità, non suscettibile di delocalizzazione e tra l’altro ecologicamente sicura. Insisto pertanto a proporla a supporto maestro di questa quinta ricostruzione dell’Aquila ma intendendola integrata da industrie complementari ed essa stessa declinata in molteplici aree di sviluppo: il turismo culturale, grazie allo straordinario patrimonio architettonico-artistico del centro storico cittadino e dei borghi antichi; la prestigiosa tradizione musicale, cinematografica e teatrale della città; l’Università; le tradizioni e gli eventi unici quali la Perdonanza celestiniana del 28-29 agosto; l’artigianato; il turismo naturalistico di montagna, estivo e invernale, innervato in una adeguata rete infrastrutturale; il turismo enogastronomico, e via dicendo.
Di qui l’assoluta esigenza che la prossima ricostruzione sia di qualità, affinché il nostro patrimonio naturalistico e artistico sia più attrattivo e, quindi, più “competitivo”. E di qui anche la necessità di rimediare agli errori architettonici, edilizi e urbanistici del passato. Per ottenerlo, propongo, per L’Aquila, quanto già il maggior scrittore italiano di pianificazione urbana, Leonardo Benevolo, nel 1977 proponeva per Roma. Ossia intervenire sull’edilizia sfigurante la città antica e programmare gli interventi in materia urbanistica ritardando il restauro e la rioccupazione degli alti caseggiati moderni deturpanti finché non siano “pronti i progetti e gli strumenti operativi per costruire al loro posto non altri edifici più convenienti ai proprietari, si noti, ma sistemazioni più convenienti ai cittadini.
Allo stesso tempo, e per agevolare quanto sopra, far apparire queste proposte di ricostruzione, in una nuova prospettiva di sviluppo urbano, non solo ammissibili ma convenienti, non prospettate come sacrifici ma come soluzioni desiderabili, e trasformare questi vantaggi civili in vantaggi economici, consentendo il paragone fra perdite e profitti. Dove sarebbe la convenienza per i proprietari dei caseggiati novecenteschi su cui intervenire, se si deve ritardarne la rioccupazione finché non sia pronta l’edilizia sostitutiva?
La prima convenienza sta nel fatto che si vedrebbero offerta un’edilizia sostitutiva migliore, e rispettosa, per volumetrie e forme, del carattere proprio alla città antica, con premi di cubatura e possibilità di risparmio energetico. L’altra convenienza, non meno importante, dovrebbero vederla in prospettiva: la sicurezza economica dei loro figli e nipoti, ai quali i caseggiati passeranno in eredità. Mi spiego. Se la ricostruzione di post-2009 non farà dell’Aquila una città turistica, pur con iniziative economiche integrative, ripeto, come il polo elettronico e il polo universitario, son convinto che la città non avrà futuro e perderà drasticamente abitanti, talmente che un domani potrebbe non esservi più gente in cerca di alloggi e quelli esistenti resterebbero sfitti. Se insomma ci si fa vincere emozionalmente dalle necessità immediate della ricostruzione, temo che si comprometta il proprio stesso futuro e anche quello dei discendenti. Da noi, fuori del turismo, non mi sembra vi siano altre risorse, è un dato di fatto; e d’altra parte non vorremmo industrie che inquinano l’ambiente e rovinano il paesaggio.
L’Aquila potenziale città turistica, ecco: si abbia la volontà politica di incanalare su questo gli interessi degli operatori economici e di indurre gli investimenti in tal senso. Non si mancheranno infine di cogliere, nella nostra proposta di una ricostruzione dell’Aquila “dov’era ma meglio di com’era”, pur con i suoi maggiori costi e tempi di esecuzione, gli ulteriori vantaggi economici e le ulteriori possibilità occupazionali che verrebbero dal fatto che alla semplice necessaria ricostruzione del “dov’era e com’era” si aggiungerebbe la realizzazione dell’edilizia sostitutiva, con il che L’Aquila e il “cratere” costituirebbero veramente il cantiere più grande e duraturo d’Italia.
Che valore attribuisce al concetto di città-territorio e al rapporto tra il capoluogo e i paesi vicini?
Come è risaputo, dato toponomastico tipico dell’Aquila è l’intitolazione delle sue chiese con nomi uguali a quelli dei tanti borghi sparsi nella conca aquilana. Ciò ricorda e attesta che i leggendari 99 castelli, unendosi nel 1229-1254 in un unico nuovo centro urbano, riprodussero ciascuno, in esso, le strutture religiose ed altresì amministrative dei paesi di origine, chiamandoli con lo stesso nome dei castelli di provenienza e costruendo le proprie chiese “dentro” intitolate agli stessi santi delle rispettive parrocchiali di “fuori”. Si formò così, e così si mantenne fino al 1529, un corpo unico indiviso e promiscuo tra città e contado tanto sul piano civile e catastale come su quello ecclesiastico.
È la città-territorio di cui lei parla, ma, come può notare, con una particolarità specifica. Da noi, ben dice il Panella, “non fu la città che, staccata dalla campagna e organizzata in classi, sottomise poi il territorio circostante sottraendola si signori feudali, ma fu la campagna (per una via dunque inversa a quella seguita dagli altri comuni italiani) che costituì la città inurbandosi”. Io provengo dal contado, da Villa Sant'Angelo, e lei quindi può ben capire quale e quanto valore possa io attribuire alla singolarissima realtà storica che fu la città-territorio dell’Aquila.
Già in un mio saggio del 2001 pubblicato su Recupero e riqualificazione dei centri storici del Comitatus Aquilanus, opera in tre volumi curata dal compianto Marcello Vittorini, conchiudevo che nell’onda della rivalorizzazione delle autonomie locali potrebbe oggi affacciarsi l’opportunità della ricostituzione, nel più ampio autonomo quadro unitario delle Regioni e al posto delle province, dei distretti territoriali storici a base cittadina o metropolitana: ad esempio, nella Regione Abruzzo, la ricostituzione dell’antico Comitatus Aquilanus nei suoi confini 1254-1529 (praticamente quelli che ancor oggi definiscono la diocesi).
Con l’avvedutezza però, aggiungevo onde evitare il ripetersi della contrapposizione che ad un certo punto della storia si verificò tra città e centri e della sopraffazione della prima sui secondi, di prevedere e assicurare istituzionalmente l’esistenza anche di autonomie minori interne. Orbene, proprio perché l’industria turistica coprirebbe appunto le esigenze occupazionali non soltanto della città ma anche del suo territorio, la propongo a fondamento della ricostruzione e riprogrammazione economica del post-sisma 2009.
Come non ha già mancato di accennare, l'edilizia religiosa è una parte importante del patrimonio culturale dell'Aquilano, ma anche la più danneggiata. Da dove si può e si deve ripartire con la ricostruzione delle chiese?
Sono convinto che si debba partire dalla ricostruzione dei maggiori monumenti-simbolo, quelli più attrattivi in rifrequentazione e riaggregazione. All’Aquila sarebbero la Cattedrale di San Massimo, le quattro chiese-capoquarto, San Bernardino e Collemaggio. E questo contestualmente, auspico, al ripristino di Palazzo Margherita e dell’intero corso, qui opportunamente allineando, agli altri fronti strada e portici, anche la sezione Est del palazzo che ancora sporge su corso Federico II tra vico Sant'Eusanio e via Battisti.
Nei borghi dovrà valutarsi caso per caso se la parrocchiale e il municipio posseggano capacità di rapido ricoagulo della popolazione. Per le chiese mi lasci dire che i nostri responsabili ecclesiali non hanno avanzato obiezioni a che anche all’Aquila ci si regoli sulla formula di priorità seguita nella ricostruzione del Friuli: prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese. Il fatto è che le chiese aquilane, in larga parte monumentali, sono, certamente, dei luoghi di culto, ma anche la fetta essenziale dell’intero patrimonio artistico locale; il quale a sua volta costituisce la provvidenziale ricchezza del territorio e, assieme alle risorse naturalistiche, la materia prima della nuova e sola economia di base “strutturale” dell’Abruzzo montano, il turismo, come ho detto. Guarda caso, in un’inchiesta online svolta a quasi due anni dal sisma, Cattedrale e centro diocesano son risultati al secondo posto di priorità ricostruttiva nelle aspettative degli aquilani.
San Massimo evidentemente, con episcopio e centro diocesano, riveste nella coscienza collettiva una grande valenza simbolica, un segno di resurrezione e di ripresa di vita dell’intera città. Per questo vado insistendo sull’opportunità anche di completarla con quell’elemento altamente polarizzante che è la cupola, in progetto dal Sette-Ottocento ma mai costruita per carenza di fondi. E mi azzarderei a dire che le chiese aquilane, sia della città sia del contado, almeno quelle antiche, per la loro carica simbolica come per la loro potenzialità turistica, quindi occupazionale, quindi economica, in fondo dovrebbero essere assimilate alle “fabbriche” della formula friulana.
Si è scelto che la ricostruzione abbia una regia interamente pubblica e, in particolare, ai sindaci e ai consigli comunali competano gli indirizzi sulle scelte urbanistiche. L'Aquila, in primavera, si avvierà al rinnovo dell'amministrazione: per quello che ci ha detto, secondo lei quale modello politico potrebbe meglio rispondere alle esigenze del capoluogo?
Qui parlo da comune cittadino, oltre che da studioso. Segnalo che questa quinta ricostruzione post-sismica della città e dei borghi è la prima nella storia, si può dire, ad attuarsi in regime di moderna democrazia con la sua struttura a più partiti, ideologie diversificate e una società civile pluralistica. Nel passato la società era meno complessa e la presa delle decisioni si presentava alquanto più agevole, restringendosi a tre poli fondamentali e finanziatori: la Corona, le oligarchie locali, la Chiesa. Agli amministratori del post-2009 invece, con gli interessi elettorali e particolari che li condizionano, si pongono maggiori difficoltà nell’assumere la volontà politica per un’impresa di tale portata. La sfida ricostruttiva di oggi fa davvero “tremare le vene e i polsi” per dimostrarsi la più disperata tra quelle sperimentate nella nostra storia, per la difficoltà, appunto, di ottenere la convergenza di tutte le parti in causa e dei molteplici interessi in gioco, specialmente i politici ed amministrativi che oggi parrebbero inconciliabili.
A contingenze eccezionali suppongo debba rispondersi con amministrazioni comunali di eccezione. La ricostruzione post-sismica in corso è una contingenza eccezionale, programmaticamente trasversale a tutti i partiti. Richiede quindi la convergenza, l’unità, di tutte le forze. Auspico fortemente che per questi lustri o decenni della ricostruzione i partiti, le coalizioni, le liste che vinceranno successivamente le elezioni chiamino tutte le altre forze politiche e la società civile a sedersi attorno ad un tavolo per dar vita a governi di “salute pubblica”, con ampia maggioranza in Consiglio comunale in modo che non siano sotto ricatto di uno o due consiglieri e che, quindi, possano dar conto non a qualche individualità ma all’intera città delle scelte compiute.
Ora più che mai deve valere il principio della politica come la più alta forma di carità: chi si impegna per la cosa pubblica si impegna infatti per gli altri, per la polis, quindi per gli interessi generali, non per i particolari. Son sicuro che l’amore che gli aquilani da sempre portano alla propria città, e la prospettiva di un bene maggiore, anche economico ed occupazionale, del che ho detto sopra, farà in maniera che passati questi primi anni di comprensibile sconcerto essi si uniscano nell’approntare un programma di legislatura univoco e condiviso, meglio, ovviamente, se sarà quello incentrato sulla ricostruzione migliorativa, di cui sopra, sapendo anche intessere un rapporto costruttivo col governo centrale e locale.
A loro paradigmatico esempio torni in mente il grandioso movimento unitario della fondazione stessa della città, quando gli aquilani, secondo Buccio di Ranallo, “Fecero la citade solliciti et uniti, anni mille duecento cinquantaquatro giti”. E “solliciti et uniti” mi auguro finiscano per essere, suggestivamente, anche gli aquilani del ventunesimo secolo, ripetendo il miracolo duecentesco e comprovando, a se stessi e al mondo, come anche in materia di ricostruzione e pianificazione urbanistica e territoriale il sistema democratico moderno non sia per nulla inferiore e meno efficace dei sistemi politici autocratici che nel passato ebbero a gestire ben quattro ricostruzioni. Loro incombe una grande responsabilità storica, della quale gli Aquilani del futuro chiederanno rigoroso conto.
Come immagina L'Aquila e il “cratere” tra 20 anni?
Come la vollero i fondatori: bella. Il nostro Buccio di Ranallo scrisse infatti nella sua Cronaca: “Gridaro tucti inseme: 'La cità fecciamo bella, Che nulla nello regame non se apparechie ad ella!’”; e per la venuta all’Aquila del duca di Calabria Carlo, nel 1328: “Lu duca stava in Aquila con gran cavallarìa; / Li soldati mandati ad l’infrontere havìa; / Disse che questa terra volentero vederrìa, / Se era così bella como ad lui se dicìa”.
Sia una città “bella” anche la quinta Aquila di post-2009, coi suoi borghi curati, puliti, verdi e fioriti come le città e i borghi che nelle mie peregrinazioni ho visto in Olanda, Svizzera, Germania. Un’Aquila diventata gioiello urbanistico oltre che architettonico-artistico, tale da dimostrare una capacità di attrazione ed una “competitività” artistica, quindi anche turistica, rispetto alle altre città e regioni, ben maggiori di quelle anteriori al sisma. Stanti l’attuale recessione italiana, la crisi dell’euro e la crisi economica mondiale, lei dice bene: L’Aquila ricostruita “tra 20 anni”, al mio prossimo libro sulla ricostruzione penso appunto di dare il seguente titolo: L’Aquila del 2029 negli itinerari di un nunzio (io stesso). Con questi chiari di luna, difatti, l’erogazione annuale dei fondi statali allo scopo non sarà massiccia e regolare. A maggior ragione è importante tener pronti i progetti e saper usufruire nei tempi tecnici appropriati dei fondi nazionali ed europei.

8 dicembre 2011

Mons. Orlando Antonini, 67 anni, è nato a Villa Sant'Angelo (L'Aquila). Ordinato sacerdote nel 1968, è stato parroco. Formazione diplomatica presso la Pontificia Accademia, ha fatto importanti esperienze come Segretario in diverse Nunziature apostoliche: Bangladesh, Madagascar, Siria, Olanda, Francia e Cile. Nel 1999 l'ordinazione episcopale e l'affidamento della Nunziatura apostolica in Zambia e Malawi, che ha retto fino al 2005, poi la Nunziatura apostolica in Paraguay, fino all'agosto 2009 e successivamente la Nunziatura apostolica in Serbia, a Belgrado, che attualmente regge. Scrittore, musicista e storico, mons. Antonini è uno tra i più insigni studiosi di architetture religiose e urbane in Abruzzo. Di capitale interesse scientifico le sue pubblicazioni, come “L'architettura religiosa aquilana” volumi 1 e 2, “Manoscritti d'interesse celestiniano in Francia”, “Chiese dell'Aquila”, “Recupero e riqualificazione dei centri storici del Comitatus Aquilanus” e “Villa Sant'Angelo e dintorni”. Le sue pubblicazioni sull'architettura religiosa sono punto di riferimento imprescindibile per studiosi e storici dell'urbanesimo abruzzese.
(L’annotazione biografica è di Goffredo Palmerini)

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