Si è molto parlato dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Qualcuno ne ha fatto il feticcio festoso e festante di una retorica poco critica e poco giustificabile; qualcun altro, per non farsi mancare il gusto del disfattismo, ha tratteggiato quella riunificazione come la genesi di tutti i mali del tessuto politico-economico italiano. Fortunatamente, non sono mancate analisi critiche, ma misurate, solide, che hanno, non di rado, approfondito aspetti peculiari. Si è fatta, certamente, molta confusione sul ruolo della Chiesa Cattolica. Da queste possibili strumentalizzazioni, parte l’indagine di Massimo Teodori, “Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull’Unità d’Italia” (Rubbettino, 2011). L’indagine, precisiamolo, non è semplice. Abbiamo ascoltato anche elaborati, non banali, contributi da parte della Conferenza Episcopale Italiana e dell’intellettualità ad essa più vicina, in cui si lodava il comportamento ecclesiale e il contributo cattolico. Prima di smentire l’univocità di questo assunto, è opportuno chiarire che nella dottrina politica del cattolicesimo più intransigente v’è, attualmente, una frizione di fondo, tra quanti pongono ancora l’accento sul recupero di sovranità da parte dello Stato-Nazione, nel contesto della crisi politico-economica, e quanti, all’opposto, non hanno mai creduto a questa costruzione politologica e seguono la tradizionale onda lunga dei sospetti verso l’unità e dell’incensamento tout court del modello federalistico. Il contributo cattolico è stato importante per nutrire l’idealità risorgimentale: Teodori non prescinde dalla pur sincera adesione di tanti combattenti per l’unità al cristianesimo, dall’esistenza di un filone di riflessione cattolico, oppositore politico del morente impero austro-ungarico e schietto avversario di quell’ambiente curiale che doveva parte del suo prestigio proprio alle discutibili relazioni diplomatiche intessute, al tempo, nello scenario geo-politico europeo. Tuttavia, non si è abbastanza registrata, o così Teodori meritoriamente osserva, la netta, tangibile, discrasia tra una componente del fermento risorgimentale, nutrita anche dall’anelito di giustizia di ascendenza religiosa, e la posizione ufficiale lungamente veicolata dalla Curia, dai ceti sociali ad essa più vicini, da una fetta di alta amministrazione interna ai vari regni che vedeva nell’unità il motivo di una indebita compressione di poteri e prerogative. Le posizioni del Sillabo forniscono il super-strato teologico a un concreto sostrato di posizioni politiche e amministrative, contenuto pratico e operativo di un violento ostracismo nei confronti della modernità e del suo strumentario giuridico. L’idea portante dello scritto di Teodori è che, oltre a volontà d’indipendenza e profilo organizzativo unitario, tra i tratti comuni alle varie correnti risorgimentali, fu una ovvia ragione unificante la stessa elaborazione seminale di un’idea di laicità come parametro normativo e istituzionale, condiviso da Destra Liberale e Sinistra Democratica. Questo assunto, nella sua accezione più “forte”, meriterebbe di essere ulteriormente approfondito e problematicizzato, ma è indiscutibile che formazioni politiche laiche ebbero lì la propria genesi, il primo momento di una cooperazione poi lungamente smarrita.
Domenico Bilotti