Marsala, 1984

Giuseppe Nacci

Il caldo sole di mezzogiorno batteva implacabile sul vecchio volante della mia vecchia auto, lungo la strada bianca e polverosa di quell’angolo della Sicilia su cui arrancavo, con il serbatoio della benzina ormai quasi vuoto, fra i campi di stoppie bruciate di un lontano giorno d’Agosto di molti anni fa…

Poi, l’auto si fermò, in uno stridìo di freni consumati, e abbassai il finestrino con la vecchia manovella a mano.

Accanto ad un bancone di frutta e verdure, una bella ragazza stava riordinando e accatastando pile di fogli per volantinaggio. Più in là, ritto sull’attenti nei suoi vecchi jeans, con una strana camicia rossa e uno strano berretto garibaldino dello stesso colore, un tizio batteva ritmicamente un vecchio tamburo di latta, quasi a voler chiamare a raccolta i fantasmi di un lontano passato , senza più Storia né Ricordo.

La ragazza mi sorrise e mi porse un lungo foglio scritto a mano, in bella grafia, che riguardava l’antico segreto di una laguna…

“MANDA IN GIRO, QUANDO SARA’ TRE VOLTE UNDICI…”

La guardai, e mi accorsi soltanto allora che i suoi occhi avevano la Stanchezza del Tempo, di un Tempo che non era più…

Sogno o Realtà ?

Non lo seppi mai…

Il Segreto della Laguna…

Può forse capitare, in una sera d’inverno, di fermarsi sui margini di una laguna salata, dove i canneti nascondono ancora le rovine di mura abbattute e di misteriose scritte in greco antico, incise sui muri di quelle rovine, come ad indicare il nome di una città misteriosa, posta laggiù, nel profondo dei canneti, quasi il nome perduto di un luogo antico, dove i secoli e i millenni sembrano ancora incontrarsi, scavalcando il muro inviolabile del Tempo….

E ti assale allora la strana sensazione di un ricordo antico, quasi come di una reminiscenza, dimenticata e sepolta nell’oblio, che porta alla memoria il ricordo di coloro che tentarono di ricostruire la loro civiltà perduta, in un mondo che non era più il loro, e che era stato ormai distrutto dalle guerre, dalle invasioni, dalle pestilenze, dalla fame e dalle carestie…

Dice la Storia, che da quei canneti passarono a decine di migliaia: uomini, donne e bambini, terrorizzati dalla furia devastatrice dei Barbari.

Dalla sponda di quella laguna, lungo strani e segreti passaggi, immersi fra isolotti di sabbia e lunghi canneti ancora esistenti, passarono intere popolazioni, a ondate successive, fin dall’anno del Signore del 401, per sfuggire ai Goti di Alarico, e ancora nell’anno 452 davanti agli Unni di Attila, che avevano appena distrutto Aquileia, la terza città più grande dell’Impero…

Dalla via Postumia vennero a decine di migliaia coloro che erano scampati agli eccidi e ai massacri perpetrati dai Barbari a Mediolanum, Ticinum, Placentia, Cremona, Brixia, Mantua, Verona, Vicetia, Opitergium…
Lungo l’Adige, da Bauzanum e Tridentum…
Dalla via Annia vennero i profughi di Patavium, Tarvisus, Sagittaria, Forum Iulii…
Da traverso il mare, giunsero persino da Pola…
In quella laguna salata cercarono scampo anche gli abitanti di Ancona, Fortunae Fanum, Pesaurum, Ariminum, Caesena, Forum Livii, Bononia, Mutina, Regium Lepidum, Parma, Ravenna e di tante altre località che la Storia ha ormai dimenticato.

E in quei canneti, tra le acque basse e paludose, cercarono la salvezza altre decine di migliaia di uomini, donne e bambini nell’anno del Signore del 568, davanti ai Longobardi di Alboino, che avevano già bruciato Tergeste, sterminando tutta la sua popolazione, e per poi dilagare in tutta l’Italia, dove avrebbero creato il loro dominio nei due secoli successivi, facendo di Pavia, o di ciò che ne restava, la loro capitale.

Ma i Longobardi non furono gli ultimi Barbari, perché vennero ancora gli Avari e gli Ungari a devastare e a distruggere ciò che ancora non era stato vinto.

Ma quei fuggiaschi, che ad ondate successive si riversavano fra i canneti della laguna, vi trovarono finalmente riparo dalla furia devastatrice dei Barbari.

Si dice che, dopo aver disceso il Padus (Po), il Mincio, l’Adige, il Brenta, il Bacchiglione, il Piave, il Tagliamento e l’Isonzo, remando in piedi sulle loro lunghe barche nere, ed essere così arrivati ai confini di quelle paludi e di quei canneti, usassero allora cercare di nascosto, ai margini della grande laguna salata, delle strane indicazioni scritte in greco, per trovare la cosiddetta “Casa Veneta”, dove la parola “Casa” in greco classico-ellenistico si diceva “Estia” e la parola “Veneta“, in greco-romano del Tardo Impero, si scriveva “Venete”, perché “Estia” era appunto una parola greca, e quindi sconosciuta ai Barbari, che sapevano a malapena il Latino, e il suo significato più profondo era anche quello di “Luogo sacro e inviolabile”.

E tale “Casa dei Veneti” era situata in un luogo segreto della laguna…

Vennero a decine di migliaia nelle loro lunghe barche: le donne, coperte di nero, portavano in grembo, sotto le vesti, la carne putrida di animali morti, quale loro ultimo mezzo di difesa se fossero cadute vive in mano ai Barbari….

Quelli che venivano da Nord fecero sosta lungo la costa dell’Adriatico. Poi, da Grado e dalla laguna di Marano si diressero verso Caorle, e poi da lì, attraverso le perdute isole di Ammiana e Costanziaca, fino a Torcello, Burano, Mazzorbo, Alba (Sant’ Erasmo) e Murano…

Coloro che vennero da Sud, lungo il Po, abbandonando il Polesine, si diressero a Loreo e Cavarzere, e così raggiunsero Clodea (Chioggia), giungendo fino a Malamocco, alle Fogolane, a Sant’Ilario e alle altre isole di Popilia (Poveglia) e di Biniola (Vignale)…

E su quei miserabili brandelli di isolotti, in una laguna salata e battuta dal vento gelido del Nord-Est che i Greci chiamavano “Borra”, seguendo le indicazioni scritte lungo i canali d’acqua e i sentieri che attraversavano le isole di canne della laguna, giunsero infine, stanchi e affamati, ad Olivolo, alle Gelmine, a Luprio e a Spinalunga. E sull’isola di Rivolto trovarono alla fine la “Casa Veneta”, il “Luogo sacro e inviolabile dei Veneti”.

E là, sull’isola di Rivolto, decisero di fondare la loro “Nova Aquileia”.

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Allora posero la prima pietra della loro prima chiesa, quella di San Giacometo, che ancora è rimasta, così com’era, con le sue colonne di Aquileia, già arse dal fuoco: simbolo estremo della Civiltà Romana che stava morendo in tutta l’Europa, e che pochi decenni più tardi, nell’anno 476, un capo tribù degli Eruli, di nome Odoacre, avrebbe definitivamente sepolto, facendo inviare le insegne imperiali di Ravenna, capitale dell’Impero Romano d’Occidente, a Bisanzio, capitale di un Impero Romano d’Oriente che non aveva più nulla di romano tranne il nome, e dove adoravano il proprio Imperatore come un Dio…

Ma coloro che in seguito si sarebbero definiti gli “Ultimi dei Romani”, perchè non contaminati da sangue barbarico, fecero di quelle isole, ultimo lembo di Roma non ancora calpestato dai Barbari, l’estremo baluardo di un mondo che ancora si sarebbe amministrato per altri Mille e Trecento anni con l’antica Legge del Diritto della Roma repubblicana, ai margini di un mondo che non era più il loro, ma che era diventato quello di una Europa feudale, quella dei Barbari invasori, che avrebbero oscurato per Mille anni la storia dell’Occidente nei secoli bui del Medio Evo che era appena nato.

Papa Gregorio VII, che a Canossa, nel 1077, avrebbe obbligato il capo supremo delle tribù barbare del Nord ad inginocchiarsi nella neve, nel 1073 non avrebbe esitato a definire i “Veneti delle Isole”, che avevano osato ergersi a baluardo della loro antica romanità contro l’intero mondo feudale dell’Europa medioevale, come “… l’unico Popolo e l’unico Stato in Europa rimasto fedele alla sua origine e alla sua secolare tradizione romana, perché gelosamente custodite e incontaminate dai Barbari invasori. Fieri di essere gli ultimi eredi di una Civiltà antica che ancora sopravviveva in loro, perché incontaminati dalle tirannidi e dalle corruzioni morali che imperversavano in tutte le corti d’Europa e d’Oriente. Le loro isole erano l’unico luogo al mondo dove ancora sopravviveva la Libertà politica e lo Spirito dell’antica Roma repubblicana… Quegli isolani ancora riuscivano a tenere vivo e ad onorare, con tenace fedeltà, il Culto della Libertà, di quella Libertà sana e vigorosa che fa grande e possente una Nazione e uno Stato, mantenendo perennemente vitale l’antico spirito della prima Roma della Repubblica…

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Gli “Ultimi dei Romani” avevano così fondato la loro “Nova Aquileia” sull’isola di Rivolto, la “Civitas Rivoalti”, quella che sarebbe divenuta poi la “Civitas Venetorum”…la città dei Veneti…

E su quelle isole di sabbia, per Tredici secoli di lì a venire, avrebbero scritto la Storia: Oriente e Occidente avrebbero infatti scatenato innumerevoli guerre contro quegli orgogliosi villaci, che non avevano nemmeno la terra per costruirci sopra le case della loro strana città costruita sull’acqua, e che sfidavano l’Ordine costituito dei Poteri imperiali del mondo intero, cristiano o mussulmano che fosse, con strane e assurde idee che affermavano l’assoluta eguaglianza di tutti davanti alle loro sacre Leggi, perché Popolo e Senato erano, per quei villaci, una unica cosa, e loro si sentivano quindi tutti uguali davanti alla Legge, fossero ricchi o poveri, cristiani o ebrei, guelfi o ghibellini, cattolici o protestanti, atei o credenti…

E per quanto possa sembrare strano, quei “Villaci delle Isole di Sabbia”, che avevano quale loro strano simbolo un Leone alato, e la cui bandiera aveva il colore del sangue, in ricordo degli spaventosi eventi da cui era nata la loro città, onorarono realmente, e fino in fondo, le loro sacre origini: in Tredici secoli di Storia non persero mai nemmeno una guerra. Le vinsero tutte.

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L’ultimo lembo di Roma cessò di esistere per sempre il 16 maggio del 1797, quando i Francesi di Napoleone, senza colpo ferire, sbarcarono sull’isola di Rialto, dando inizio al saccheggio della città, culminato con la profanazione della chiesa di San Giocometo, il luogo più sacro dei Veneti.

Ma, ormai, quei nuovi Barbari calpestavano soltanto il cadavere di una vecchia città che non aveva più nulla del suo Spirito antico, e quei Galli poterono impunemente trasformare la chiesa di San Gregorio in una fornace a cielo aperto per la Zecca di Stato di Napoleone, facendovi fondere in grandi lingotti tutto l’oro e tutto l’argento sottratto alla città. Comprese le tombe, che vennero aperte per essere anch’esse depredate.

Ma l’antico spirito non era morto, perché gli “Ultimi dei Romani” combatterono ancora, in quella che sarebbe stata la loro ultima guerra della loro Storia: ciò avvenne circa sessant’anni dopo la caduta della loro città, quando 194 Veneti, con le loro camicie tutte di un solo colore, e che erano dello stesso colore della loro antica bandiera, sbarcarono a Marsala, seguiti da 434 Lombardi, 156 Liguri, 78 Toscani, 71 Siciliani e 20 Sardi: tutto ciò per riunificare una Nazione, Mille e Quattrocento anni dopo la caduta dell’Impero.

E ciò che i Barbari avevano diviso, venne nuovamente riunificato.

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E oggi, fra quei canneti, sulle sponde di quella laguna, fra le vecchie mura in rovina di antichi porticcioli di piccole isole abbandonate, tra le paludi di canne, quando alla sera più nulla viene a disturbare il silenzio, e il tempo sembra assumere una dimensione antica, lontana dal nostro mondo di oggi, e lo sciacquordio del remo inizia a prendere la sapienza e il ritmo di un Tempo antico, si dice che sia ancora possibile leggere, durante la bassa marea, alla base di un’esile colonnina rupestre ricoperta dal muschio vecchio di secoli, nello strano gioco dell’incerto chiarore delle ultime luci del sole al tramonto, un’antica indicazione, risalente ai tempi dei Romani, e che porta incisa sulla pietra, sopra un segno che sembra una freccia, la parola in greco dell’antica “Casa Veneta”, “il Luogo sacro e inviolabile dei Veneti”:

VΕΝΕΤΗ ΕΣΤΙΑ

E’ permessa la libera riproduzione e stampa del presente documento, purchè senza omissioni o alterazioni in ogni sua parte, e purchè venga riporta la fonte bibliografica:
Tratto dal libro “Come affrontare il Diabete”, Editoriale Programma Padova.

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