L’eurozona è in totale confusione e ne mostra evidenti i segni, giorno per giorno. Il suo approccio alla crisi è disorganizzato e anziché risolvere i problemi, li tampona in emergenze ripetute, mettendo a rischio proprio la competitività della stessa Unione. Alla fine il rischio di una inevitabile spaccatura dell’unione monetaria stessa finirà con la debacle dei membri più deboli, che in buona sostanza verranno estromessi dal sistema Europa. La realtà, in sintesi, sembra essere un vero paradosso. L’effetto della prematura convergenza dei tassi di interesse ha permesso una maggiore divergenza delle politiche di bilancio, ma una spericolata mancanza di disciplina in alcuni paesi, come la Grecia e il Portogallo, ha fatto sì che si formassero bolle speculative in altri, come Spagna e Irlanda. Le riforme strutturali in tal senso sono state ritardate e mentre la crescita delle retribuzioni divergeva rispetto alla crescita della produttività, il risultato finale è stato la perdita della competitività nella zone europee più marginali. La riduzione del debito dell’Eurozona contribuirebbe sì a risolvere il problema del debito smisurato in alcune economie in deficit, ma di certo non sarà determinante per ripristinare la convergenza economica, che suo malgrado richiede il ripristino della convergenza nella competitività. Senza questa condizione le zone di minor rilievo economico avranno un effetto di ristagno. Una prima soluzione potrebbe essere quella di una riduzione del valore dell’euro, portandolo in parità con il dollaro USA, per ripristinare la competitività dei paesi periferici; ma questa operazione potrebbe risultare improbabile, data la forza commerciale della Germania e le politiche da furbetti della Banca Centrale Europea. La deflazione che in un certo senso è l’opposto dell’inflazione e che consiste in un ribasso generalizzato dei prezzi, ovvero, in un aumento del potere di acquisto della moneta in rapporto ai beni ed ai servizi che con essa si possono acquistare; potrebbe essere una seconda opzione, ma anche questa è associata a una recessione persistente. L’Argentina, ad esempio, tentò questa strada tempo fa, ma i lunghi anni di recessione la costrinsero in ultima analisi ad arrendersi, uscendo dall’ancoraggio al dollaro USA della propria valuta. Anche se si attraversasse la deflazione come misura estrema, l’effetto sul bilancio sarebbe di aumentare il peso reale dei debiti pubblici e privati. Quindi, tutti i discorsi fatti da BCE e Unione Europea di una svalutazione interna sono sbagliati, dato che la necessaria austerità fiscale avrebbe nel breve periodo un effetto negativo sulla crescita economica. Quindi, dato che queste opzioni sono difficilmente percorribili, per ripristinare la competitività e la crescita delle realtà meno floride, non rimane che correre il rischio: quello di lasciare l’euro. Lasciare la moneta europea diventa oggi lo scenario più reale di tutti, quindi tornare alle monete nazionali e ottenere il massimo deprezzamento nominale e reale . Dopo tutto, in ogni crisi finanziaria dei mercati emergenti da cui si è usciti, tornando alla crescita, un movimento verso tassi di cambio flessibili è stato necessario e inevitabile, prima dell’austerità e delle riforme e, in alcuni casi, della ristrutturazione e riduzione parziale del debito. Naturalmente a molti potrà apparire come una dottrina erronea e lasciare l’euro diventerebbe un operazione inconcepibile, infatti si considererebbe l’uscita come una grande perdita commerciale rispetto al resto della zona euro, attraverso importanti deprezzamenti reali e perdite di capitale da parte dei creditori, in un modo più o meno paragonabile alla ridenominazione in “pesos” del debito dell’Argentina in dollari, durante la sua recente crisi. Ma questo scenario che oggi sembra inimmaginabile, con molta probabilità fra qualche anno non sarà poi così campato in aria, soprattutto se le riforme strutturali dell’eurozona tarderanno ad arrivare, lasciando i paesi con l’economia più debole di quella attuale. In conclusione, la possibilità di uscire dall’unione monetaria diventerà prevalente, i vantaggi di stare all’interno di questo sistema saranno inferiori ai benefici di poterne uscire e, per quanto difforme o caotica, l’uscita potrebbe finire con l’avverarsi.
Antonino Di Giovanni