È un usanza in crescita e ormai diffusissima quella di falsificare attraverso riproduzioni fotostatiche o “scannerizzazione” degli originali, i pass per accedere alle zone traffico limitato o quelli per le autovetture a servizio dei disabili: i primi per non “beccarsi” una multa quando si accede nelle aree del centro urbano riservate solo ai residenti o a determinate categorie di automobilisti, le seconde per non pagare la sosta nelle zone ove questa è regolamentata.
Ma come sovente accade, proprio quando tali prassi sembrano quasi essere percepite come procedure normali o ancor peggio “legali” per quanto è comune il fenomeno nei nostri centri urbani, interviene la Suprema Corte a chiarire che questi “furbacchioni” rischiano la reclusione da due mesi ad un anno se si ostinano in tale illegittimo comportamento.
Con la sentenza n. 38349 depositata il 24 ottobre 2011, la Cassazione penale ha nuovamente chiarito, infatti, che integra il reato di falsità materiale del privato di cui all’articolo 482 del codice penale, la copia fotostatica del permesso rilasciato per l’accesso alla zona di traffico limitato legittimamente detenuto, se la riproduzione è disposta con modalità imitative tali da confondere l’originale con la copia, a nulla rilevando l’assenza del timbro attestante l’autenticità.
Un principio che per Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di IDV e fondatore dello “Sportello Dei Diritti” è estensibile alla odiosa prassi di falsificazione del permesso per le autovetture a servizio dei disabili, rilasciato dai comuni e che dovrebbe costituire da deterrente per quanti provano a fare i furbi a discapito di cittadini onesti e che ne hanno veramente bisogno.