Qualità  del lavoro e qualifica professionale nei lavoratori migranti

I principali Paesi dell'Unione europea sono confrontati già da qualche decennio con le profonde trasformazioni del mercato del lavoro, ma all'orizzonte si profilano nuove sfide da affrontare con determinazione per mantenere e accrescere la competitività dei sistemi produttivi ed economici europei. Sfide che muovono soprattutto sull'asse di due fenomeni di grande impatto e rilevanza: il regresso demografico europeo e l'evoluzione geopolitica e migratoria del continente africano. Ma già ora questi aspetti fondamentali pongono una serie di questioni sulla qualità del lavoro e sulle politiche di formazione professionale che si devono attivare per preservare la qualità del lavoro prodotto, in ogni caso rispondente alle esigenze del mercato del lavoro.
Questi temi importantissimi sono stati al centro del convegno annuale svoltosi dal 30 settembre al 2 ottobre 2011 a Comano Terme (TN) promosso dall'EZA (Europäisches Zentrum für Arbeitnehmerfragen / Centro europeo per le questioni dei lavoratori) e dall'UNAIE (Unione nazionale associazioni immigrati ed emigrati).
Indubbiamente le politiche neoliberiste che hanno caratterizzato la riorganizzazione economica e finanziaria del mondo capitalista negli ultimi decenni, hanno modificato radicalmente il rapporto tra il lavoro e quella parte della società rappresentata dai lavoratori e dai ceti medi e hanno accresciuto lo squilibrio tra le aree geografiche di numerosi Paesi. Di crisi in crisi siamo approdati a cambiamenti irreversibili, contrassegnati da un forte aumento della disoccupazione, dalla precarizzazione sempre più spinta del lavoro e in generale dal peggioramento delle condizioni di lavoro. Sono aumentate le disuguaglianze e la sproporzione nell'accumulo della ricchezza, concentrata sempre più nelle mani di pochi eletti.
L'Italia, in questo contesto, sta vivendo una vera e propria emergenza lavoro, con tassi di occupazione relativamente stabili, ma sottostimati perché a livello statistico non si considerano i cassintegrati a zero ore e il gran numero di persone inattive. La situazione, tuttavia, è drammatica soprattutto per i giovani e le donne, e per il meridione dell'Italia che rischia di diventare – come ha documentato il Rapporto Svimez presentato il 27 settembre scorso – “una delle aree con il peggior rapporto tra anziani inattivi e popolazione occupata e con la più alta percentuale di ultraottantenni sulla popolazione, quasi uno su sei nel 2050”. Insomma un'area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese, soprattutto a causa della fuga dei giovani.
L'Italia, per altro verso, paga più delle altre nazioni le imperfezioni del sistema educativo e formativo. Nel nostro Paese l'apprendistato non è mai diventato ciò che rappresenta per i giovani tedeschi, svizzeri o francesi, che oltre a poter contare su un sistema di formazione professionale strettamente collegato al mondo del lavoro (sistema duale, scuola e lavoro) possono contare su una collaudata cultura della formazione professionale e su norme di legge rigidamente vincolanti.
Qualche mese fa un prestigioso giornale economico svizzero ha lanciato un forte grido d'allarme sul preoccupante calo del numero di giovani in uscita dalla scuola dell'obbligo, interessati a seguire la via della formazione professionale. Come evidenziava detto
giornale, mancano decine di migliaia di figure professionali nei mestieri artigianali tradizionali – meccanici, muratori, idraulici, lattonieri, falegnami, elettricisti, ecc. – che hanno costituito da sempre una grande risorsa per il sistema produttivo svizzero sia per la qualità delle prestazioni sia in termini di effetto spinta per la creazione di piccole imprese artigianali. La situazione, a ben vedere, non è diversa in Italia, dove si continua a credere diffusamente che l'Università sia il solo ascensore sociale delle professioni, mentre abbiamo la piaga della disoccupazione intellettuale che colpisce una percentuale drammatica di giovani, soprattutto nel Sud del Paese, e nel contempo si registra una marcata penuria di figure professionali in campo artigianale, a cui sopperiscono i lavoratori migranti, che spesso svolgono mansioni differenti dalla qualifica ottenuta in madrepatria (è il caso delle badanti). Invece n vari comparti delle attività produttive (edilizia, agricoltura, meccanica, ecc.), i migranti sono privi di qual si voglia formazione professionale, se non di tipo esclusivamente empirico.
È allora fondamentale, come è emerso al convegno EZA – UNAIE, affrontare con decisione, in Italia e in Europa, il problema delle qualifiche dei lavoratori migranti offrendo loro opportunità di formazione professionali, così come è avvenuto negli anni '60-'90 per decine di migliaia di lavoratori italiani emigrati nei Paesi europei industrializzati.
Per poter recuperare il tempo perso occorrono interventi più intensivi, di cui si devono fare carico le parti sociali in concertazione con le autorità regionali.

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy