di Pierluigi Sorti
In molti sono rimasti sorpresi scorrendo la lettera inviata due mesi or sono dalla Bce, a firma Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, al capo del Governo italiano ma resa pubblica,solo a guisa di “scoop”, solo in questi giorni.
Lo siamo stati a nostra volta, non tuttavia per il contenuto, nelle sue grandi linee già noto, ma assai più per la forma con cui i due presidenti della Bce , quello uscente e quello entrante, hanno scelto di rivolgersi al Governo italiano.
La lettera della Bce, cui competono altissime funzioni nell’ ambito dell’ Ue ma , sul piano diplomatico, circoscritte rigidamente ad un piano di alta consulenza, risulta chiaramente al limite della irricevibilità ,” in primis” da parte del destinatario in quanto capo del Governo di un paese sovrano.
Non sono mancate reazioni come quella ( stizzita ) di Tremonti (“Grilli – suo candidato alla successione a Bankitalia – contrasterà l’ euro burocrazia” ) di Bossi ( “Grilli è nato a Milano “ ) e nel contempo di quasi tutta l’ opposizione che, per voce del Pd, ha chiesto l’ audizione di Draghi in parlamento : ma pressoché tutte in chiave interpretativa dei suoi contenuti e non della gravità della sua forma.
L’ ipotesi dell’ audizione parlamentare di Draghi, dovrebbe quanto meno porre il governatore della Banca d’Italia ancora in carica, nella condizione di spiegare per quale motivo, in questo quadriennio, egli ha taciuto, o grandemente attenuato, gran parte delle asserzioni contenute nel documento da lui sottoscritto come presidente designato della Bce .
L’ esperienza della lettera della Bce è infatti una desolante conferma della debolezza democratica del costruendo edificio europeo: assai lontano persino dal modello dell’ “Europa della patrie” proposto a suo tempo da De Gaulle e giustamente non accolto.
Ci troviamo infatti, almeno da un punto di vista italiano, di fronte a un arretramento della democrazia non solo in ordine all’ accentuarsi continuo di una egemonia politica dei paesi più forti ma, all’ interno di questa gerarchia, al profilarsi di pulsioni autoritarie provenienti paradossalmente dalla finanza internazionale : le cui primarie responsabilità, nella crisi economica e finanziaria internazionale attuale, sono incontestabili e universalmente note.
Le cose del mondo rendono irreversibile la nascita e consolidamento di grandi realtà geograficamente e storicamente omogenee : l’ Europa fra queste.
In tale prospettiva è inoppugnabile che queste nuove realtà geopolitiche potranno conseguire risultati positivi, per sé stesse e per il consesso internazionale, solo in presenza di un disegno istituzionalmente chiaro.
L’ esperienza europea di questi anni, ivi inclusa la creazione di una moneta unica, non può ormai più prescindere, alla luce di tante esperienze nostre e altrui, dall’ operare politicamente per modificare radicalmente il disordinato profilo istituzionale seguito fino ad ora, in favore di un rilancio della strada maestra dell’ ipotesi federalista.
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