IL MONDO ALLA FINE DI UN MONDO

Gli eventi che sono sotto i nostri occhi, dalla crisi economico-finanziaria dell’occidente alle nuove guerre, non segnano la fine del mondo, per parafrasare il titolo di uno dei primi romanzi dello scrittore cileno Luis Sepulveda. Ma la fine di un mondo sì. Ci sono sempre stati momenti della storia dell’umanità nei quali gli eventi accaduti hanno determinato un cambio di paradigma sostanziale, nella percezione del mondo e nelle relazioni tra i popoli. Momenti nei quali le concezioni più salde e fino allora evidenti sono crollate come castelli di sabbia. Con la rivoluzione copernicana la terra ha cessato di essere al centro dell’universo ed è stata declassata a semplice satellite del sole. Ha cessato di essere piatta ed è diventa definitivamente rotonda. Con la scoperta-conquista delle Americhe, nel 1492, l’Europa incontra civiltà ricche e sviluppate quanto le proprie, che ignorano il Dio della Bibbia e Cristo. Deve riconoscere la pluralità dei mondi umani e la provincialità dell’area europea giudaico-cristiana. Così come con Copernico la terra non è più al centro del cosmo, così con la scoperta delle Americhe l’Europa non è più al centro del mondo. Noi occidentali, che abbiamo instaurato la sovranità sul pianeta attraverso le tecno-scienze, e i loro derivati, le armi, abbiamo pensato e continuiamo a pensare di poter essere, attraverso il nostro impero, i padroni incontrastati, ieri, oggi, domani. Dimenticando una elementare lezione della storia, quella che ci dice che tutti gli imperi della terra, che si credevano eterni, dopo aver raggiunto il loro apice, sono caduti. Si sono affermati e sono crollati l’impero egiziano come quello babilonese, quello di Atene, dei persiani, di Roma, dei maya, degli aztechi, degli ottomani, degli asburgo, del nazismo, dell’Unione Sovietica….
Oggi gli Stati Uniti stanno attraversando una crisi di dimensioni fino a poco tempo fa inimmaginabili. Per la prima volta la potenza più forte del mondo ha preso confidenza con una parola, e con la sostanza che l’accompagna: default. Bancarotta. Sono piegati da un debito pressoché inestinguibile mentre stanno perdendo guerre (Afghanistan) sempre più durature e costose. L’ideologia neoliberista, se da una parte sembra trionfare assegnando ogni forma di dominio al mercato, al denaro e al profitto, dall’altra, con la crisi determinata dalle speculazioni dei mercati finanziari, evidenzia il suo fallimento e si disvela come vero e proprio cancro che divora le persone e la natura. Per i ceti che tocca e per le nazioni che coinvolge ormai non riguarda più conflitti ideologici o lotte di classe di ottocentesca memoria. Riguarda la stragrande maggioranza dei cittadini dei Paesi del nord e del sud del mondo.
Il Pd e lo schieramento democratico in Parlamento hanno presentato emendamenti e proposte alternative all’interno di una coerente battaglia istituzionale. Ma nel contempo è vitale dire e fare di più e altro, poichè il problema non è solo «trovare i soldi e far quadrare i conti» e la risposta non è, né può rischiare di apparire, come un “tremontismo di sinistra”. Se non si invertono radicalmente i presupposti di fondo, l’operazione finisce per essere solo un pozzo di San Patrizio nel quale spariscono le risorse prodotte dall’economia e dai lavoratori per finire nelle casse delle stesse società finanziarie e delle banche responsabili della crisi. Siamo nel mezzo di un passaggio cruciale della storia dell’umanità nel quale sono necessari cambiamenti antropologici e non piccoli aggiustamenti di sistema. Di fronte a una finanza predatrice che divora l’economia e la politica non si può risponde con il conformismo concettuale. I dati presentati in questi giorni da alcuni economisti sono illuminanti del problema e drammatici al tempo stesso: mentre il Pil mondiale nel 2010 è stato di 74.000 miliardi dall’altra i valori movimentati dalla finanza speculativa sono pari a 650.000 miliardi. Otto volte l’economia reale prodotta da industria, agricoltura e servizi. Per queste ragioni non è possibile ridurre la politica a contabilità subalterna senza fare i conti con il sottosviluppo prodotto da quello che continuiamo a chiamare sviluppo tecno-scientifico e finanziario che di fatto ignora i problemi umani.
Quante volte in questi mesi abbiamo sentito commenti del tipo «i mercati hanno reagito male», un lessico demenziale, dietro al quale si evidenzia una filosofia, al quale sembrano essersi adeguati tutti, a destra, e diversi anche a sinistra. Una concezione che fa del mercato finanziario una “entità” mitica insindacabile, unica fonte di legittimazione e di potere, una divinità di fronte alla quale devono prostrarsi tutti, gli Stati e la politica per primi. Se non utilizziamo questa crisi per riconoscere, e per combattere, il primato della finanza sull’economia e sulla politica eludiamo il problema e ci illudiamo sulle soluzioni, restando prigionieri di “econocrati” capaci di adattare le persone alla finanza ma incapaci di adattare la finanza alle persone.

Luciano Neri

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