LA POLITICA DEL LAVORO

Questo scampolo d’estate è senza storia. Con l’autunno, l’Italia presenterà il conto a tutti. Un conto pesante e per nulla “vacanziero”. Premesso che solo il 38% delle famiglie si sono potute permettere un soggiorno, breve, al mare o ai monti, ci ha pesato la freddezza delle percentuali a farci ripiombare in quella che è la nostra realtà. Realtà che è uno dei fanalini di coda dell’UE. Da noi manca il lavoro. Un’occupazione duratura che permetta di fare progetti, di realizzare programmi. Il 65% dei giovani tra i 18 ed i 30 anni si dichiara ufficialmente senza un’occupazione degna di questo nome. Il lavoro in “nero”, che una delle nostre piaghe sociali, prospera. Ma, a detta di molti, è sempre meglio che niente. Statisticamente, solo la Svizzera non denuncia disoccupazione “ufficiale”. Noi ci crediamo. Il Bel Paese, invece, è in ginocchio anche per la cronica mancanza di lavoro per i giovani e non solo loro. Le nuove leve d’Italia, pur con l’imminente riforma del nostro sistema pensionistico, sono obbligate a pagare un prezzo altissimo per riempire i vuoti della previdenza. La modifica del nostro sistema, salvo ripensamenti dell’ultima ora, non risolverà la situazione. Gli effetti, se ci saranno, li andremo ad analizzare tra parecchi anni. La manovra fiscale dell’Esecutivo Berlusconi, già impopolare, è pesante anche nei confronti di ciò che resterà degli enti territoriali. Eliminati, almeno sulla carta, i privilegi di casta, tutti dovrebbero essere più cauti e “credere” solo con “prove” alla mano. Tra l’altro l’Unione Europea, che non è più una chimera geografica, ci ha posto in osservazione con un’attenzione critica. La disoccupazione, da noi, è endemica. Inizia dalla fine degli studi; anche universitari. Il numero maggiore di senza lavoro ha meno di 26 anni (60%) e solo il 35% dei trentenni ha un’occupazione a tempo indeterminato. Come a scrivere che, quando tutto va bene, da noi lavora, in regola, un giovane su tre. Tutta la nostra classe politica non ha considerato attentamente che facciamo parte di un tutto e la situazione, favorita dalla speculazione internazionale, c’è sfuggita di mano. Oltre gli impegni di facciata, è venuta a mancare la fiducia da parte degli imprenditori. Nonostante tutto, i segnali d’emergenza erano noti. Negli ultimi due anni il PIL è sempre stato sotto l’1%, mentre il potere d’acquisto interno dell’Euro si è ridimensionato per il rincaro di tutti i prodotti; anche d’uso comune. Con l’attuale tendenza, i conti potranno tornare in pareggio non prima del 2014; con l’incognita d’elezioni politiche generali ”ordinarie” nella primavera del 2013. In questo lasso di tempo, che in economia ha un costo, le contrattazioni collettive di lavoro potrebbero essere “frenate”. Insomma a meno di 120 giorni dalla fine di quest’anno, l’Italia ha da affrontare vitali problemi per non retrocedere ulteriormente. Tra l’altro, ci preoccupa il ventilato appiattimento economico prospettato da chi predica bene, ma razzola male. Senza una solida garanzia occupazionale, non c’è futuro per nessuno. Per promuovere l’occupazione mancano le garanzie di uno Stato Sociale moderno ed adeguato ad una realtà internazionale che è ben oltre la portata dei nostri bilanci nazionali. Per ora, è proprio tutto. Resta evidente, però, che questa Seconda Repubblica ha da trovare l’umiltà di recuperare ciò che di corretto ci aveva fornito la prima. Quando le modifiche di rotta politica coinvolgono anche il mondo del lavoro, non ci sono Santi; è indispensabile scovare nuove soluzioni.

Giorgio Brignola

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