Donne soldato, l’illusione della parità 

di Piero La Porta 23-08-2011

Tradimenti, minacce, violenze, segreti inconfessabili. Si arricchisce ogni giorno di particolari, veri o presunti, la drammatica vicenda dell’omicidio di Melania Rea, la donna trovata morta nel Bosco delle Casermette a Civitella, in provincia di Teramo, il 18 aprile scorso. Madre della piccola Vittoria, 2 anni, la donna è stata colpita da 35 coltellate e abbandonata sull’erba. Immediatamente i riflettori, e le attenzioni degli inquirenti, sono puntati sul marito della donna, Salvatore Parolisi, sul quale pesano fin da subito bugie, contradizioni e inquietanti silenzi sulle ultime ore di vita della donna e almeno un tradimento, consumato con una giovane collega. Ma questa tragica vicenda si muove, se possibile, su uno sfondo ancor più misterioso, fatto di segreti, rituali, relazioni sessuali e vessazioni che si sarebbero, il condizionale è d’obbligo, consumate nella caserma Emidio Clementi di Ascoli dove il maresciallo Parolisi, unico indagato ora in carcere, prestava servizio. Nell’occhio del ciclone non c’è solo la sua relazione con l’allieva Ludovica, che la moglie avrebbe scoperto, ma una serie di consuetudini inconfessabili e pericolose che Melania avrebbe minacciato di rivelare. La vicenda ha risollevato polemiche sulla presenza delle donne nell’esercito e sul loro rapporto con i addestratori e superiori uomini. Abbiamo chiesto un’opinione al Generale Piero La Porta, Capo di stato maggiore del Casd

Parlo dell’ambiente che conosco, l’esercito. Le polizie, la guardia di finanza e i carabinieri forse, dico un cauto “forse”, possono impiegare le donne in misura più assimilabile agli impieghi maschili. Questo tema oggi viene fuori dall’omicidio Rea e dalle denunce per molestie, riscaldate in queste ore ma risalenti a luglio del 2009. La magistratura militare, notoriamente sfaccendata, impiega due anni per arrivare a processo su una vicenda banale; al contrario avrebbe potuto in qualche misura prevenire la vicenda Rea. Dopo due anni battono la grancassa. È osceno.

Le donne devono davvero poter accedere a tutte le carriere possibili? Ricordiamo la Costituzione. Art.3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso […]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori …” Art. 37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione[…]”.

Una delle due affermazioni è vera: 1)“Chiunque può suonare in un’orchestra”; 2) “Chiunque può suonare in un’orchestra purché abbia requisiti certificati e omologati”. Nessuno aggiungerebbe “requisiti differenti per uomo o per donna”. Non lo afferma infatti neppure la Costituzione, anzi nell’art.3 lo condanna.

Un conto quindi è possedere i requisiti, altro è ricevere, in quanto donna, tutele per “consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare”.

Accade tuttavia che la donna lavoratrice raramente goda delle tutele costituzionali per la sua funzione familiare e di madre. Non di meno, per motivi estranei all’operatività dell’esercito, si afferma, mentendo, che la donna soldato possa svolgere le stesse mansioni d’un soldato. È falso. Non lo dico io ma lo afferma lo stesso bando di concorso quando fissa criteri di selezione differenti per uomini e donne, con esiti grotteschi e in contrasto con l’art.3 della Costituzione. Il legislatore è consapevole della diversità, è consapevole dell’importanza dei requisiti fisici e aggira la contraddizione differenziando le prove fra uomini e donne. Questo relega la donna soldato a compiti ancillari o residuali, caricandola d’una subordinazione impropria, eppure concreta, nei confronti dei colleghi soldati, a prescindere dal loro grado. Gli esiti di questa subordinazione nulla hanno da spartire con la disciplina, ma sono il suo esatto contrario, traducendosi in comportamenti squilibrati.
La “subordinazione impropria” della donna in divisa l’ha creata il miope legislatore cui è mancato il contraddittorio coi generali responsabili, che non sanno né vogliono contraddire il potere politico, sia per carenze caratteriali sia per inadeguatezza culturale.

L’esercito ha una missione, a prescindere da chi occupi i ranghi. Fatte salve le garanzie costituzionali (art.3 e art. 37 Costituzione), il lavoro operativo prescinde dalla differenza dei sessi, come in un’orchestra, tanto più se si proclama un’uguaglianza apodittica.
La vicenda Rea, col contorno di chat con i trans, proposte indecenti e grottesche cerimonie tribali di consegna del coltello delle soldatesse al loro istruttore, certificano che il sistema di reclutamento, oltre a far indossare una divisa onorata ad almeno un paio di ragazze e di ragazzi che avrebbero potuto essere brillanti sciampiste e agguerriti parcheggiatori, ha messo in piedi una linea di comando inidonea a gestire un condominio.

Il problema del reclutamento e della selezione nessuno vuole vederlo, sebbene sia noto che 500mila arruolati nelle polizie e altri 200 nelle forze armate vanificano una selezione seria, a tutti i livelli.

In quanto alla promiscuità, dopo la “vicenda Tailhook”, il report “The Culture of the Military,” del Center for Military Readiness Conference, October 21, 1998, riferiva:“Gli editti sociali ispirati politicamente dopo la vicenda Tailhook nel 1991 hanno mutato radicalmente l’atmosfera di un “ready room” tanto che oggi è praticamente irriconoscibile…I piloti sono ostacolati nella loro capacità di addestrarsi alla guerra dalle politiche dei loro comandanti. Devono affrontare l’ingegneria sociale e il doppiopesismo nell’addestramento. Istruttori piloti di grande esperienza sono costretti a promuovere gli apprendisti quand’anche non dimostrino di possedere gli standard richiesti. Questo porta a sfiducia e risentimento, due fattori dannosissimi per il morale di gruppo e quindi per l’efficacia militare.”

Negli Usa il problema c’è ed è discusso, quanto meno. Da noi c’è il solito piattume conformista. Basti per esempio leggere le stupidaggini scritte due anni dopo quel report, nel 2000, in Italia, nell’ampollosa relazione sul servizio militare femminile, compilata da sedicenti esperti, caldeggiata dal generale Roberto Speciale e dall’ammiraglio Giampaolo Di Paola.
La tecnica è sempre la stessa per affermare una tesi insostenibile: costituisco un organismo consultivo prezzolato, ne assorbo acriticamente il vaticinio, peraltro scritto in questo caso con pessimo, involuto e oscuro linguaggio da latinorum, e in tal modo annacquo le responsabilità d’ogni attore e comprimario. Ma gli effetti, quelli, non li si può annacquare; così le idiozie menzognere di quegli anni ricadono sui soldati di oggi.

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