La democrazia, la rappresentanza e i costi della politica

Vi è nel Paese, non da oggi, un clima di fortissima ostilità, di indignazione verso la cosiddetta “casta politica” e le Istituzioni che oggettivamente non si registra nelle altre grandi democrazie europee, nelle quali le classi dirigenti non dormono certamente su sette cuscini e hanno anch'esse le loro gatte da pelare. Ed è sintomatico che proprio nel periodo peggiore del Governo Berlusconi, da sempre campione indiscusso dell'antipolitica, utilizzata ampiamente per la sua ascesa e conservazione del potere, il popolo italiano mostri una totale sfiducia nella politica e abbia perso la capacità di discernimento che in altri momenti avrebbe guidato il processo di formazione delle opinioni ed evitato che si facesse di ogni erba un fascio.
Il popolo italiano ha ragione di indignarsi, questo va detto, sia per il peggioramento della generale condizione economica del Paese, sia per il venir meno delle certezze sul futuro, che soltanto qualche decennio fa parevano incrollabili. C'è poi l'impressione diffusa di una incapacità della politica e delle istituzioni di guidare il cambiamento e la modernizzazione del nostro Paese, di mettere il sistema economico e produttivo italiano nelle condizioni di competere e affrontare le sfide della globalizzazione, per creare lavoro e occupazione, efficienza amministrativa, ricerca scientifica, qualità della vita. In Italia vi è, non lo si può negare, una gestione talmente distorta della realtà fattuale e un asservimento al potere o alle varie appartenenze politiche che non ha eguali in Europa. In materia di costi della politica, tanto per fare un esempio, molti giornali hanno dato in pasto all'opinione pubblica una notizia infondata sull'Assistenza sanitaria integrativa per i parlamentari, che non costa “alle casse pubbliche”, come è stato scritto, una cifra che si avvicina ai 30 mila euro al giorno. Tale Assistenza è interamente finanziata con i contributi versati mensilmente dai parlamentari in carica e da quelli che hanno cessato il mandato, tanto che il bilancio 2010 chiude con un leggero avanzo di gestione di 9.161,76 euro come si può rilevare dal Consuntivo della Camera dei Deputati.
In ogni caso, di fronte ai sacrifici chiesti ai cittadini per far fronte alla crisi del Paese e alla speculazione dei mercati finanziari è più che giusto che anche la politica e i politici contribuiscano alla riduzione dei costi con l'obiettivo di limitare i rischi per l'intero Paese; su questo non ci possono essere dubbi. Tanto più, però, vi deve essere trasparenza e correttezza nell'informazione, dicendo, ad esempio, che ben prima dell'emergenza economica il Parlamento ha decurtato ben due volte le indennità dei Deputati, ogni volta del 10 per cento che in totale fa il 20 per cento.
Si è parlato molto degli emolumenti dei parlamentari e sono circolate affermazioni false e fuorvianti, con dati comparativi del trattamento economico lordo vigente nei principali Parlamenti europei assolutamente errati nella rappresentazione che ne è stata data; per questi dati comparativi si rimanda alla lettura del dossier “Trattamento economico dei deputati in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Parlamento europeo”. È innegabile, tuttavia, che ci sono ritardi inspiegabili su talune decisioni che garantirebbero una migliore trasparenza; se, ad esempio, l'indennità personale del deputato e cumulata con quella destinata alla retribuzione dei collaboratori parlamentari, l'interpretazione che ne dà l'opinione pubblica è che tutto vada nelle tasche dei parlamentari. L'impegno assunto dalla Presidenza di passare a un sistema di retribuzione diretta dei collaboratori parlamentari deve, a questo punto, essere realizzato già dal 2012.
Il dibattito sull'approvazione del “Conto consuntivo della Camera dei deputati per il 2010 e progetto di bilancio per il 2011”, che in alcuni momenti è stato condotto con toni molto accesi, ha evidenziato l'esigenza di un dialogo vero, per quanto non facile, con la parte più polemica dei nostri connazionali per ristabilire un livello di comprensione e frenare la delegittimazione della politica e dei politici, che – come ha ben evidenziato Pierluigi Castagnetti – “sono i rappresentanti della sovranità che appartiene al popolo”. Sovranità che se viene svalutata, svilita e snaturata mette in pericolo il Parlamento e “quando non c'è più Parlamento non c'è più democrazia”.
Certamente l'azione del Governo – su cui pesano i numerosi scandali e ruberie di cricche varie – ha incrementato l'antipolitica e l'indignazione dei cittadini, ed ha minato la credibilità del Paese verso i mercati finanziari, spaventati dalla crescita del debito pubblico che dal 2008 a oggi è aumentato di ben 300 miliardi di euro. Governo che per far fronte all'emergenza economica non trova di meglio che mettere le mani nelle tasche dei cittadini (60% della manovra finanziaria infatti sono tasse per tutti). A questo punto è comprensibile che il cittadino esasperato guardi con sospetto la classe politica chiedendole: “Tu non partecipi allo sforzo? Le inchieste giudiziarie che vengono fuori una dietro l'altra dicono che sei solo occupato a trafugare i gioielli di famiglia prima che la nave affondi”.
La domanda è più che legittima e la reazione, se a essa non sarà data una risposta immediata, è ancora più pericolosa per la credibilità delle Istituzioni e della democrazia: le derive populiste del passato ci hanno insegnato come sia facile affidarsi alle mani di “colui” che deve governare! Per questo motivo la classe politica ha doppiamente il dovere di indicare le vie d'uscita e metterle in pratica sollecitamente senza spinte demagogiche in avanti, come sta facendo la Lega con la riforma del Parlamento in via costituzionale: considerando l'iter procedurale previsto in primis dalla nostra Costituzione e in seconda luogo dai regolamenti parlamentari, la riforma non è altro che un progetto fumoso da vendere all'elettorato. La verità è che si sono persi tre anni preziosi in cui la maggioranza ha respinto le ripetute richieste del PD di calendarizzare la proposta di legge per la riforma del Parlamento e la riduzione del numero dei parlamentari. Ma devono essere eliminati anche privilegi medioevali come la barberia e assicurazioni inutili (oggetti smarriti), e soprattutto devono essere ottimizzati i costi generali e l'impiego delle risorse umane, come accade in tutte le grandi aziende. In caso contrario una furia iconoclasta finirebbe per privare il parlamentare e gli operatori delle due Camere anche dei servizi primari. Pur applicando il rigore per primi a se stessi, bisogna considerare che le retribuzioni dei parlamentari rappresentano meno del 20% del bilancio complessivo della Camera dei Deputati.
La questione dei costi della politica si intreccia anche con la questione morale. Se un parlamentare – come pure un consigliere regionale o un assessore o un sindaco – è assenteista o poco presente, se in qualche modo si rigira a proprio vantaggio le legittime indennità stabilite per esercitare meglio le proprie funzioni, è chiaro che alla fine ne risulterà danneggiato solo il parlamentare che fa il proprio dovere. Ben venga allora il meccanismo che collega l'indennità alla effettiva presenza nei lavori in Aula e in Commissione.
C'è quindi un'urgente operazione da fare ed è il recupero della dignità della funzione oltre che la riduzione dei costi alla quale, per altro, si sta lavorando già da qualche anno e si sta proseguendo con le decisioni assunte dall'Ufficio di Presidenza nella riunione del 21 luglio 2011 (vedi relazione riduzione spese). La politica nelle democrazie moderne nasce come servizio volontario, poi gradualmente, a partire dalla rivoluzione francese, si è incominciato a riconoscere un indennizzo al cittadino che dedica parte del suo tempo a questa attività a scapito di quella personale per impedire che questa funzione possa essere svolta solo dagli esponenti delle classi abbienti. Successivamente si ammette che certe funzioni, per essere svolte adeguatamente nell'interesse della collettività, vanno assolte a tempo pieno e in modo esclusivo. Da qui il riconoscimento della professionalità della carica che accomuna tutte le democrazie moderne. Ma in tutto ciò non può essere estromessa la componente fondamentale che è quella del bene comune, altrimenti continueremo a gridare allo scandalo ogni volta che molti protagonisti della politica ritagliano sostanziose tangenti necessarie o a sostenere livelli di vita altrimenti insostenibili o a mantenere oliata la macchina del potere e della corruzione.

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