Il nostro terzo dopoguerra

di Maurizio Zipponi

Nell'economia reale del Paese sta per arrivare uno tsunami e il problema è che non molti ne sono consapevoli. La responsabilità di questa ignavia ce l'ha soprattutto il governo che per tre anni non ha fatto altro che negare la gravità della situazione. Ma il punto ora non è questo. Il punto ora è: che fare? Sono d'accordo con quanto ha detto Giuliano Amato qualche giorno fa in un'intervista al Corriere, quando dice che noi dobbiamo ragionare partendo da quello che siamo, e cioè, il secondo paese manifatturiero d'Europa dopo la Germania. Sull'economia reale, per noi le conseguenze sociali dello tsunami finanziario sarebbero drammatiche perché il nostro sistema economico si basa appunto su manifattura, turismo, agricoltura. Concordo con Amato anche sul fatto che sarebbe necessario adesso una sorta di piano nazionale del lavoro, come fece Di Vittorio quando mise a disposizione la capacità di una grande organizzazione sindacale come la Cgil per dire: partiamo da un dato di realtà e remiamo tutti per far crescere il paese. Concentriamoci sull'economia reale e sul lavoro. Non mi convince invece Amato quando propone la vecchia e stantia discussione sullo Statuto dei lavoratori, sull'articolo 18, sulla soglia dei 15 dipendenti. Il costo del lavoro vale nel settore auto il 7-8 %, nella siderurgia il 5% e quindi sono altri i costi che pesano: quelli delle infrastrutture, il costo dell'energia, il costo della burocrazia, il costo della materia prima…

Non mi convince neanche la sua idea di affrontare la questione del debito pubblico con una patrimoniale, idea ripresa anche dalla Cgil. Se mi si dice che chi ha grandi patrimoni deve contribuire più di altri al rilancio dell'economia reale, è ovvio che sono d'accordo. Però tassare le grandi ricchezze, i grandi patrimoni delle famiglie che portano a casa oltre gli 800 mila euro l'anno, secondo diversi economisti farebbe raggranellare allo Stato una cifra intorno ai 3 miliardi, 3 miliardi e mezzo di euro oltre al gettito fiscale. La mia obiezione non è dunque sul principio che ovviamente mi trova d’accordo, è che non basta. L'Italia è un paese in cui tutti i grandi patrimoni delle grandi famiglie sono occultati, cioè non sono dichiarati. Penso che sia invece necessario ripartire dai fondamentali. In atto c'è una guerra, una guerra che ancora non si è trasformata in uno scontro armato tra potenze economiche ma che resta guerra finanziaria, economica e sociale. Questa guerra in Europa ha generato macerie, si chiamano Grecia, Portogallo, Spagna. Ci chiamiamo Italia. Questa guerra ha rafforzato grandi potenze che si chiamano Germania, Francia e fuori dall'Europa, Cina, India. Ecco, quando si è in guerra e ti hanno distrutto la casa, le strade, le scuole, le infrastrutture, i ponti, bisogna ripartire dai fondamentali.

Usciamo di metafora. I fondamentali sono che noi non possiamo continuare a reggere l'Italia con un debito pubblico di queste dimensioni, perché gli interessi che paghiamo sono incompatibili con la crescita del paese. Non ci sono più soldi per gli investimenti che devono essere orientati ovviamente su ricerca e innovazione. Per essere più preciso l'equilibrio fra le entrate e le uscite non permette più, con questi interessi sul debito, di investire un euro sul nostro futuro. Quindi il punto è l'intervento sulla spesa e sulle tasse. La patrimoniale è una specie di pannicello caldo, colpisce molto la fantasia ma sulle quantità non determina grandi cambiamenti. Qui il fondamentale è l'evasione fiscale, i patrimoni non dichiarati. Per ricostruire dalle macerie una casa solida la mia proposta è di creare un automatismo tra recupero fiscale e riduzione delle tasse per chi le paga. Mi spiego: ogni euro di recupero di evasione fiscale che entra allo Stato deve andare per metà a ridurre il debito pubblico e per metà a ridurre l'Irpef e l'Irap, cioè quelle tasse che incidono direttamente sul lavoro e sull'impresa. Dobbiamo creare un automatismo tra allargamento della base imponibile e riduzione delle tasse per chi le paga per arrivare ad un obiettivo che sia del 20% di tassazione minima sui redditi da lavoro dipendente e sui pensionati, del 20% di tassazione sulle rendite finanziarie (esclusi Bot e Cct) e stock-option e il 20% di aumento per salari e pensioni minime, inserendo in questa operazione anche il reddito minimo per i giovani. E' inutile stare al gioco di chi ti sfida con la questione che il problema è il debito mentre è invece la sostenibilità del debito: così si produce il circolo vizioso aumento del debito, aumento delle tasse, aumento del debito… all'infinito.

Oggi la tassazione sul lavoro e sull'impresa, bisogna dirlo, mette fuori competizione da un lato molte imprese ma soprattutto la possibilità per i giovani di accedere a un lavoro a tempo indeterminato, perché il costo globale del lavoro con una tassazione così alta non rende programmabile una fase di investimenti in innovazione e in ricerca tali da rendere possibile il lavoro a tempo indeterminato.

da Gli Altri

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