CARLO FORMENTI — L’etica hacker e la sindrome di Robin Hood

cformentiIl gruppo Anonymous ha rivendicato una serie di attacchi contro i siti della polizia e della città di Orlando. In un comunicato hanno dichiarato di avere agito per “punire” l’arresto di alcuni membri dell’associazione Food Not Bombs, “colpevoli” di aver distribuito cibo agli homeless in un parco della città.

L’arresto è avvenuto in applicazione di un provvedimento delle autorità cittadine che vieta questo genere di iniziative caritatevoli (secondo il “New York Times” la misura sarebbe stata adottata su pressione della lobby dei commercianti, preoccupati perché le adunanze di barboni disgustano e allontanano i cittadini danneggiando i loro affari).

I membri di Food Not Bombs non sembrano avere tuttavia gradito l’azione degli hacker perché, spiegano in una intervista, in questo modo l’attenzione del pubblico viene dirottata dal problema di fondo, che riguarda la politica di criminalizzazione della povertà perseguita dall’amministrazione.

L’episodio suggerisce alcuni spunti di riflessione:

1) dopo avere provocato un immiserimento che non ha precedenti nell’ultimo mezzo secolo, l’ideologia liberal liberista manifesta la propria disumanità accanendosi contro le vittime delle sue stesse scelte politiche (riproponendo scenari analoghi a quelli dell’Inghilterra ottocentesca prima delle riforme a tutela delle classi povere);

2) gli hacker di nuova generazione non sembrano essersi liberati della sindrome di Robin Hood tipica dei loro predecessori, nel senso che hanno il solito vizio di “sostituirsi” ai movimenti agendo in loro nome, con azioni spettacolari che calamitano l’attenzione dei media e riducono l’impatto di forme di lotta meno pirotecniche ma più partecipate;

3) al tempo stesso, occorre riconoscere che imprese come quella appena descritta rivelano uno spostamento di attenzione dei giovani hacker da temi “di nicchia”, più strettamente legati ai loro interessi tecnologici e ai relativi conflitti con il potere economico e politico, a temi politico-sociali di massa, che sembrano dischiudere la possibilità di un riavvicinamento agli interessi, alle emozioni e ai comportamenti dei comuni cittadini.

Ne ho avuto conferma da un dibattito svoltosi nel corso del recente hackmeeting di Firenze, dibattito che mi ha dato l’opportunità di ascoltare il racconto di un giovane hacker italiano emigrato in Spagna, il quale ci ha spiegato come lui e i suoi amici hanno aiutato i comitati degli indignados di Madrid e Barcellona a costruire dei social network “alternativi” alle piattaforme commerciali, interamente basati su software open source e sottratti alla strumentalizzazione economica da parte di società come Facebook e Twitter (nonché agli sguardi “indiscreti” del potere politico).

Carlo Formenti

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