Referendum: molto giallo, poco sèguito nei media e voglia di contare

Scrive stamani Amedeo La Mattina su La Stampa, che Berlusconi si è ormai rassegnato all'ipotesi di una sconfitta referendaria. Tuttavia, di fronte a un altro terremoto politico che si profila, il premier è intenzionato a tirare a campare, prescindendo dal risultato dei quattro referendum a un passo dal quorum. Il dato dell'affluenza alle urne di ieri sera fa ben sperare il comitato per il Sì, mentre per la maggioranza si profilerebbe il secondo ko dopo la batosta delle amministrative. E tutto questo a dieci giorni della verifica parlamentare che ha voluto il Capo dello Stato. Ricorda il Sole 24 Ore che in Italia si sono svolti, da 1970, anno dell'approvazione della legge di attuazione del referendum, con l’immediata raccolta delle firme per il divorzio, fino ad oggi, 53 referendum abrogativi, non tutti andati a buon fine, come quorum, voto, e soprattutto attuazione. Il risultato peggiore nel 2009, quando, su tre quesiti sul premio di maggioranza e l’impossibilità di più candidature, si registrò un’affluenza di appena il 22%. Il referendum di tipo abrogativo, indetto “per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali (art. 75 Cost.), è uno dei principali strumenti di democrazia diretta contemplati nel nostro ordinamento, mediante il quale ciascun cittadino può incidere in prima persona nell’esercizio dell’attività legislativa. In questo senso è spesso definito come uno strumento di “sussidiarietà civile”, perché chiama i cittadini a una mobilitazione ausiliaria all’attività (e spesso all’inerzia) legislativa del Parlamento, anche sul presupposto di un possibile disaccordo tra coscienza pubblica e Parlamento. In tal senso si pronunciò anche un giovane costituente, Aldo Moro, intervenendo nel dibattito sul referendum abrogativo, allorché, in particolare, precisò che “ammettere il referendum significa ritenere appunto la possibilità di questo disaccordo, la possibilità di questa minore comprensione da parte delle Camere nei confronti di una evoluzione della coscienza pubblica”. Ora è indubbio, come scrive Umberto Ronga sulla rivista “Segno” del giugno 2011, che quello del referendum è divenuto uno strumento sempre meno “funzionale” (almeno così com’è concepito tecnicamente), sia a causa della contingente difficoltà generale di mobilitazione dei cittadini in un clima di crescente disaffezione alla partecipazione civile e politica, sia a causa dello “spettro” che caratterizza questa tipologia di referendum: il quorum strutturale (o di validità), corrispondente alla maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto. Ma è altrettanto indubbio che esso ha conservato uno straordinario significato simbolo e, spesso (come in questo ultimo referendum su nucleare, acqua e legittimo impedimento), un grande valore politico, perché se il quorum si raggiungesse e vincessero i sì, per il centrodestra significherebbe fare i conti con un altro campanello d’allarme, dopo quelli già sonori di Milano e Napoli. Berlusconi, come detto, si è già cautelato e da giorni ripete che se vinceranno i sì non ci sarà alcuna ripercussione nell’esecutivo e nella maggioranza. Vero se si guardano i numeri in campo, ma meno vero se si considera che la Lega è già da settimane in sofferenza e alle prese con una base sempre più irritata, con Bossi che ha confermato che a Pontida (tra una settimana) annuncerà la soluzione per fare la riforma fiscale e non ha risparmiato stoccate al Cav. a proposito dei quesiti referendari accusandolo di aver perso “la capacità di comunicare in tv” . C’è poi il messaggio forte e chiaro a Tremonti, fatto pervenire tramite Maroni, che bisogno “avere coraggio” e allargare i cordoni della borsa, per non parlare dei messaggi duri e senza ombre di Formigoni, che predente un cambio della leadership in seno al Pdl: molto più del semplice maquillage della nomina di Alfano. E nonostante Tremonti tenga duro mirando, sembra, sempre più in alto (sino al Quirinale), gli comincia a mancare l’appoggio più importante, quello leghista, con Bossi che dice che trovare i soldi è facile: basta tagliare le missioni all’estero a cominciare da quella in Libia “costata già un miliardo” e aumentare la tassazione delle grandi banche. Mentre scrivo il dato certo è che, alla chiusura di ieri, aveva votato il 41,1% degli aventi diritto. Bossi e Berlusconi non voteranno ed hanno lasciato liberi i loro elettori, ma La Russa si dice incerto e Zaia annuncia che voterà quattro sì. Circa l’esito del referendum, poi, vi è sempre l’ombra esso possa complicarsi a causa del “pasticcio” dei voti espressi dagli italiani all’estero su uno dei quattro quesiti, quello che riguarda il nucleare. Infatti, i cittadini residenti fuori dall’Italia hanno già votato (la legge imponeva loro di farlo entro il 2 giugno), ma su una scheda che riporta un quesito formulato in modo diverso da quello che circolerà in Italia, dove è stato modificato dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione. Il contenuto del quesito è lo stesso, ma espresso in maniera diversa e ciò pone il problema se considerare questi voti validi oppure annullarli. In definitiva, se le schede dei residenti all’estero (in discussione sono solo quelle sul nucleare) non fossero conteggiate, questo potrebbe falsare l’esito del referendum ed i voti di circa 3 milioni di cittadini sarebbero considerati come voti di chi non ha espresso nessuna preferenza, finendo per ingrossare le fila di chi non ha votato. Se così fosse il numero di voti necessari per fare considerare valido il quesito del nucleare salirebbe dal 50% + 1 al 58 % (circa 29 milioni anziché 25) . Per questo il leader dell’Italia dei Valori ha annunciato che oggi pomeriggio depositerà ricorso alla Cassazione perché sollevi conflitto d’attribuzione alla Consulta in merito a questa questione. Va tuttavia chiarito, come scrive “Il Salvagente.it”, che sulla questione è chiamato a pronunciarsi l’ufficio centrale Referendum della Corte di Cassazione, dopo che la la stessa sarà stata esaminata dall'Ufficio centrale per la circoscrizione estero presso la Corte d'Appello di Roma. Laconica, infine, l’offerta di diretta tv, con Rai e Mediaset che non hanno calendarizzato nelle griglie di programmazione nessun appuntamento speciale, lasciando gli aggiornamenti essenzialmente ai Tg, al Televideo e a RaiNews 24 e solo La7 che ha previsto un’edizione speciale del tg diretto da Enrico Mentana a partire dalle 15.00, un’ora dopo la chiusura dei seggi. Comunque, come scrive Irene Tinagli su La Stampa, l’affluenza di ieri dimostra che ora i cittadini vogliono contare e, anche se il risultato non costituirà la tanto attesa “spallata” al governo (come dice Marco Renzi, giovane sindaco di Firenze ,al Convegno dei giovani di Confindustria) è evidentemente la reazione a una stagione politica che sistematicamente ha escluso i cittadini dalle proprie scelte e decisioni, una stagione in cui rappresentanti parlamentari hanno fatto e disfatto coalizioni, saltando con disinvoltura da uno schieramento all’altro, dichiarando e smentendo alleanze, lanciando proposte subito stravolte o rimesse nel cassetto a seconda della convenienza. Un comportamento che, come sottolineato da molti commentatori, è legato alla pessima legge elettorale che abbiamo, che non consente ai cittadini di scegliere i candidati che vogliono eleggere. Con questa legge, di fatto, deputati e senatori non rispondono più ai loro elettori, ma ai capi partito che decidono di candidarli (e se ricandidarli in futuro). E’ questo il fatto più importante e che dovrebbe allertare i politici di tutti gli schieramenti, affinchè capiscano che non si può governare un Paese ignorando e snobbando i propri elettori. Ma l’affluenza che si è sin’ora registrata, è anche una lezione per tutti i cittadini, soprattutto per quelli che per anni hanno seguito con noia e sonnolenza le vicende politiche italiane, disertando le urne quando decisioni importanti venivano prese, oppure fidandosi ciecamente dei politici che avevano votato, seguendoli come si fa con la squadra del cuore. Occorre, invece, informarsi, ragionare, discutere, perché è la nostra maturità ed il nostro controllo che fanno politici più attenti e migliori. Bisogno imparare a guardare con la dovuta attenzioni ai tentativi di riformare un vecchio apparato politico con ammucchiate fatte solo per spartirsi poltrone o altri ancora, come Claudio Scajola che, il 4 giugno, ha detto “Basta con il Pdl, buttiamo via questo nome e questo simbolo, dopo la sberla che abbiamo preso inventiamoci qualcosa di nuovo, costruiamo un percorso di lungo respiro” e prospettato, di fatto, la riesumazione della Democrazia Cristiana: il partito-madre spazzato da Mani pulite e dalla Storia. Per non parlare, poi, delle “aperture” già prospettate da Angiolino Alfano, segretario in pectore del Pdl, che ha da poco ricordato che Pdl e Udc stanno insieme nel Ppe, dunque “occorre lavorare per superare questa anomalia solo italiana”, senza naturalmente dire come riuscirà a conciliare le posizioni antifederali e pro-Sud del partito di Casini, con quelle leghiste. Senza contare poi, circa il nuovo gruppo di Scajola, che propone “una ventata di aria fresca”, dopo essere stato un ex democristiano, figlio di un ex democristiano: ed un ex ministro dello Sviluppo economico che si è dimesso per uno scandalo per il quale, ad oggi, non è indagato, ma è assodato che un professionista vicino all’imprenditore Diego Anemone pagò 900mila euro per integrare l’acquisto di un appartamento intestato appunto a lui, a Scajola, anche se lui dice che quei soldi furono pagati a sua insaputa. Il 9 giugno, dopo la scoppola elettorale, Ferrara ha convocato lo stato maggiore dei “servi liberi” (Feltri a Sallusti, Alessandra Mussolini, Giorgia Meloni e Daniela Santanchè) di Berlusconi (presente come sagoma), per fare una critica all’amato Silvio e provare a dargli qualche ricetta per il futuro: e primarie, da svolgersi magari ad ottobre; abolizione dei monologhi e scelte vere, non come quella di fare di Angelino Alfano segretario politico, scelta che per Maurizio Belpietro è stata fatta più per allontanare problemi che per altro. Certamente l’iniziativa di Ferrara non è stata altro che una semplice sfilata di intellettuali di centrodestra che hanno parlato, parlato, parlato, facendo dei lunghi monologhi, quelli stessi che al grande capo, invece, sono stati vivamente sconsigliati. Speriamo ciò serva, dopo il referendum, ad indicare una strada diversa ai giornalisti, ai politici e agli intellettuali di cenrtrosinistra.

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