Mancanza di proposte

Credo abbia fondate ragioni Alexander Stille, quando scrive sul Blog di www.Repubblica.it, nella rubrica “Un altro Paese”, che ora, dopo le elezioni, che la sinistra ha vinto per il semplice fatto di non essere Berlusconi, quest’area dovrà dimostrare serietà e propositività, perché adesso, dopo l’euforia, gli elettori del centro-sinistra si aspettano fatti concreti e programmi capaci di affrontare in modo nuovo i diversi problemi (stagnazione economica, disoccupazione, precariato, competitività, ritardo strutturale, ecc.), che attanagliano la Nazione. È bene soprattutto che i vari partiti dell’opposizione, da Casini e Fini, fino alla parte più a sinistra, si ricordino come sono finiti i due governi Prodi e riescano, in primo luogo, ad essere concretamente uniti sui programmi e gli obbiettivi. Per ora i segnali in tal senso non sono rassicuranti, se è vero che D’Alema, ieri sera a “Otto e mezzo”, ha evitato di rispondere alle pressanti richieste di Lilli Gruber e Antonio Polito, circa la possibilità reale di una politica condivisa in una calderone che va da Di Pietro a Vendola e prevede un “intermezzo” composto da UDC, Api e Fil, con idee molto radicate nel conservatorismo cattolico e, a volte, decisamente poco progressiste. Anche adesso si sentono spesso posizioni troppo settarie: da chi dice che la vittoria di Pisapia a Milano significa che ci vuole una svolta più a sinistra ed altri che strepitano e avvertono: “mai coalizioni con Casini, Fini o Di Pietro”; mentre il messaggio chiaro del voto è un invito a creare un’alternativa credibile ad un centro-destra che, o a mal governato o non ha governato affatto. Sono sostanzialmente d’accodo con il giornalista Robi Lanza, che dice che l’insieme delle alleanze politiche e dei soggetti sociali che ha battuto il centro-destra in queste votazioni è eterogeneo tanto quanto basta per non costituire a livello nazionale, per ora, alcuna reale alternativa al governo Berlusconi. In questo senso le amministrative recenti sono più una sconfitta per Berlusconi (e Bossi) che una vittoria per Bersani. Ed è a questo punto e proprio a partire dall’impegno per il prossimo referendum, che si apre la vera sfida in vista delle votazioni nazionali in programma nel 2013. Nell’area di centro-sinistra la posta in gioco è la formazione di un polo politico in grado di proporre un programma alternativo attraente e di porsi dinnanzi agli elettori come un soggetto attuatore credibile di tale programma; soprattutto perché, ne sono certo, in questi due anni il centro-destra farà di tutto per mettersi davvero a fare quello che si aveva promesso, ma sinora non si è fatto, ossia una riforma delle istituzioni pubbliche italiane in senso autenticamente personalista e liberale e autenticamente federalista. Berlusconi è già partito con la Riforma fiscale, definita un cantiere aperto, ma con un menù già pronto ed ha poi intimato, proprio in contemporanea al vago e “svicolante” D’Alema in Tv, che Tremonti dovrà aprire i “cordoni della borsa”. Una riforma fiscale da fare subito l'ha chiesta apertamente, negli ultimi giorni e a più riprese, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e ieri il Governatore Mario Draghi, pur plaudendo alla scelta del ministro dell'Economia di anticipare a giugno la manovra triennale per centrare il pareggio di bilancio nel 2014, ha sottolineato l'importanza di procedere al taglio delle aliquote sui redditi dei lavoratori e delle imprese. Dopo lo sconfitta Berlusconi freme e vuole accorciare i tempi, arrivando, compatibilmente con la manovra triennale in preparazione, alla delega fiscale anche prima dell'estate. Naturalmente resta il problema delle risorse che vanno comunque trovate. Lo sa bene Tremonti che stavolta, pressato anche dalla Lega, davvero dovrà mettere in campo del denaro. Sulla base delle somme che saranno recuperate dall'analisi degli sprechi, nonché dallo sfoltimento della giungla delle tax exependitures, si potranno fare scelte che, come aveva detto Tremonti nell'ottobre scorso, non dovranno essere una semplice sommatoria di aggiustamenti marginali, ma dovranno essere un cambiamento radicale del sistema fiscale attuale. La relazione sugli sprechi da tagliare, realizzata dal tavolo coordinato da Piero Giarda, è oramai chiusa, mancano gli ultimi dettagli e le associazioni di categoria hanno già inviato i propri contributi. Trovati i denari, poi, sarà la volta delle scelte politiche che, secondo Tremonti dovranno privilegiare la famiglia, il lavoro, l’ambiente e la ricerca. Lunedì si attende la relazione affidata al presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, sul sommerso e la stima dell'evasione, altra strada da battere per recuperare le risorse necessarie, ma stavolta non con programmi ma con attuazione rapida, efficace e concreta. Tremonti non indente passare la mano sulla austerità ed il controllo della spesa, poiché sa bene che il rischio “Grecia” è dietro l’angolo ed i conti, per ora in ordine, potrebbero precipitare rapidamente. Chi invece vuole una politica di minor rigore è Berlusconi, che non cela più il suo umore nero nei confronti del Ministro dell’Economia, tanto che ieri i due si sono ostentatamente ignorati alla festa della Repubblica, nei giardini del Quirinale. Agli interlocutori che riservatamente gli chiedono conto dello stato dell’arte, Tremonti offre sì assicurazione sulla volontà di portare a termine il progetto, ma aggiunge che “non sarà certo una passeggiata”, che “il problema è trovare le risorse per finanziarla, che ha in mente “varie opzioni», ma che “al momento” non c’è la soluzione. Lo scontro è nelle cose: perché Berlusconi sostiene che al ministro dell’Economia “non spetta decidere ma proporre”. Giusto. Il problema è, appunto, che manca “al momento”, come scrive Verderame sulle colonne del Corriere, la proposta. Se e quando arriverà, non è poi detto che l’iter sarà rapido, perché Tremonti— temono i fedelissimi del Cavaliere— potrà dilatare a proprio piacimento i tempi per scrivere la legge delega, e — dopo l’approvazione delle Camere — potrà dettare sempre lui il timing per redigere i decreti legislativi. Ma la proposta al momento non si delinea, così come non delineata è la linea di coesione fra le opposizioni. E’ senz’altro vero che il Paese nel suo insieme , è stanco delle polemiche attorno alla figura di Berlusconi e soprattutto non scorge nella linea del governo una prospettiva chiara né sul piano dell’economia né sul nostro intervento militare in Nord Africa e che la politica tutta incentrata su di una persona, ha fatto il suo tempo; ma è anche in attesa di un segnale chiaro, unitario e coeso da parte delle opposizioni. Non basta criticare le scelte e le non scelte, ma proporre progetti e, al contempo, tempi e modi di realizzazione. E, a ben vedere ed anche a giudicare dal voto in parlamento in questi ultimi due anni, l’opposizione è stata molto divisa sui temi della riforma federale o, ad esempio, dell’’intervento militare in Afganistan ed in Nord Africa e le posizioni in materia di riforma fiscale ed investimenti sul lavoro, sono davvero molto, troppo divaricate. La storia non finisce con la sberla elettorale, perché da essa non nasce, come dal cappello a cilindro di un qualsiasi maghetto, un nuovo governo. Per ora quello di domenica e di lunedì è, e resta, un voto amministrativo e manca la controprova che gli italiani, se fossero chiamati ad esprimere un voto politico, sceglierebbero allo stesso modo. Di sicuro chi ha seguito la campagna elettorale e poi i suoi risultati ha capito che l'elettorato non è più disponibile a concedere rendite di posizione ed il voto è stato quello, comunque e quasi sempre, nella direzione di un cambiamento, più spesso sinistrorso, ma anche in direzione opposta. L'uomo della strada che vede sempre le stesse buche nell'asfalto punisce il sindaco che non le ripara ed il ceto medio moderato, a cui manca di più la speranza che il denaro, è alla frenetica ricerca di un “nuovo” che stenta a vedere. Mentre oggi l’Agcom ha invitato la Rai ad inserire i messaggi sui referendum del 12 e 13 giugno in spazi che garantiscano maggior ascolto, la stessa sinistra è muta o poco attiva in questa direzione. “Siamo impegnati a raggiungere il quorum” dice oggi Bersani, che si rende conto di essere in grave ritardo circa la mobilitazione per il referendum che si celebrerà tra meno di due settimane. Fino a ieri, in realtà, il Pd si era poco interessato alla questione, lasciando l’incombenza a Di Pietro, ma ora l’idea d usare anche questo voto per chiedere a Berlusconi di abbandonare la scena, sembra al segretario del Partito democratico la strada obbligata da percorrere, sebbene – da maggior partito di opposizione – occorra mettere il cappello su un’altra scelta targata Idv. E anche se, stretto nella morsa tra Di Pietro e Vendola, Bersani non smette di corteggiare il Nuovo polo. Di certo il segretario Pd discuterebbe volentieri con quel Terzo Polo che non gli ha dato finora udienza. “Se gli elettori del terzo polo hanno votato per i candidati del centrosinistra il motivo è che Pd e centrosinistra si sono presentati in modo aperto e costituzionale a fronte del populismo berlusconiano”, ha detto e continuato: i moderati hanno capito che gli estremisti sono nel centrodestra e io son convinto che, tenendo aperti i canali, dove non arrivano i partiti possono arrivare i cittadini”. In realtà lui prenderebbe con se anche gli elettori di Grillo, infisciandosene del fatto che non esistono sintonie ed un piano comune. Al centro resta la lotta a Berlusconi che tiene unita una coalizione che, subito dopo, si disgregherebbe. Invece di dividersi in distinguo, invece di occuparsi, in queste ore, se sia possibile dar vita ad un governo per cambiare la legge elettorale, oppure pensare a quella fantomatica grande alleanza rilanciata ancora ieri a Otto e Mezzo da D’Alema, l’opposizione dovrebbe pensare al referendum e, ancora, a smussare gli angoli, allineare le proposte, trovare modi comuni di operare. Invece, come nota La Stampa, già adesso gli sherpa del Pd (“il quasi partito di maggioranza” come si è affrettato a dire Bersani, irritando il vendoliano Franco Giordano), sono a lavoro per offrire a Bossi modelli di leggi elettorali senza premio di maggioranza, come cavallo di Troia per disarcionare il Cavaliere e mettere in sella magari Tremonti e Di Pietro già strepita: “Ci sto io qui a fare il guardiano contro gli inciuci”.

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