Silvio Di Francia: "All’Italia manca un piano energetico"

di Francesca Buffo

Secondo Silvio Di Francia, ex assessore alle Politiche culturali del comune di Roma e attuale coordinatore della Segreteria romana del Partito democratico, il referendum del 12 giugno rappresenta l’opportunità di confrontarsi su cosa vogliamo fare del nostro futuro collettivo, un’occasione, per la politica italiana, di discutere finalmente una questione vera.

Silvio Di Francia, nucleare sì o no? Secondo lei il risultato è scontato?
“Siamo ancora all’inizio di una campagna in cui, io credo, la prima cosa da fare per tutti noi sia, come diceva Einaudi: ‘Conoscere per deliberare’. Ovvero, occorre mettere i cittadini in condizione di sapere, di capire e poi liberamente di scegliere. Certo, c’è da sperare che questo referendum raggiunga il quorum, cosa che in Italia non succede da 18 anni. Credo che questo sia veramente un peccato per la qualità della nostra democrazia”.

Ma secondo lei possono bastare queste poche settimane di dibattito per arrivare a una riflessione fondata sulla questione nucleare?
“Nel 1987 si disse che i risultati del referendum erano stati fortemente condizionati dagli avvenimenti di Chernobyl. Ma la questione reale è che, all’epoca, accadde che i cittadini si erano convinti che il nucleare, per come è fatta l’Italia, non fosse sicuro. Uno dei dubbi più consistenti, infatti, era la capacità di controllo da parte degli organismi preposti al rispetto delle regole di sicurezza. Sotto questo aspetto, il nostro Paese si è sempre dimostrato ‘debole’ e, forse, in molti cittadini pesa anche questa sfiducia di fondo. Questo è un tema fondamentale che ci deve far riflettere. Tuttavia, io penso che i cittadini, quando sono sufficientemente informati, siano in grado di trovare un loro orientamento. Magari non un orientamento tecnico, ma quantomeno di massima, se si spiegano loro le argomentazioni in modo semplice. Ancora meglio sarebbe se tali spiegazioni arrivassero da autorità terze, al di fuori degli interessi in gioco”.

Per lei la scelta antinuclearista da cosa è guidata?
“Personalmente, io ne faccio una questione etica: la lunghezza dei tempi di decadimento delle scorie radioattive mi fa decidere di non voler ‘pesare’ sul futuro dei nipoti dei miei nipoti. Per altri, invece, la questione può essere di carattere economico, perché la spesa che verrà messa in campo non è giustificata dai reali risultati che potrebbero derivarne. I termini del confronto, insomma, sono diversi, ma io ritengo che in una democrazia matura occorra aprire il dibattito con opinioni autorevoli e terze. Se, al contrario, nulla accade e si fa assistere il pubblico a delle brutte trasmissioni un po’ gridate, nelle quali la demagogia di entrambe le parti prevale, è chiaro che i cittadini poi possano anche decidere di non andare a votare”.

Quindi il problema è anche nel modo di proporre le diverse posizioni?
“In pratica, sì. Occorre inoltre che i Partiti siano in grado di recepire quello che è l’orientamento collettivo. Faccio un esempio banale, che molti non conoscono: il primo referendum, quello sul quale si bloccò il programma nucleare in Italia, in realtà non decretava la fine del nucleare, ma abrogava tre punti: il ruolo degli enti locali nella scelta del sito; un tipo di finanziamento pubblico alla ricerca nucleare; il divieto per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero. Tuttavia, le forze politiche, di fronte alla valanga di no, decisero che era il caso di sospendere qualsiasi progetto in tal senso. Naturalmente, le ricerche potevano andare avanti. Molti non sanno, ad esempio, che alla ‘Casaccia’ c’è ancora un piccolo reattore che funziona, dove si può fare ricerca. Molti studiosi italiani, per effetto di quella decisione sono molto all’avanguardia, per esempio, nella ricerca per la fusione fredda. Insomma, si tratta di decidere cosa vogliamo fare del nostro futuro collettivo”.

Quali sono i percorsi alternativi al nucleare?
“Investire sulla ricerca delle fonti alternative, anziché sulla costruzione di nuove centrali potrebbe produrre dei vantaggi di gran lunga superiori rispetto a quelli del nucleare. In Italia, per esempio, se veramente si provvedesse a rendere più efficiente e meno dispersiva la nostra rete di distribuzione, già da quello si ricaverebbe quanto da un reattore. Si tratta, quindi, di discutere con intelligenza e senza demagogia una scelta che riguarda sia noi, sia quelli che verranno dopo di noi”.

Anche sulle fonti rinnovabili si intuisce che esistono una serie di ‘lobbies’ che tendono a spingere in questa direzione. Spesso, infatti, non si dice che sono fonti discontinue e che richiedono forti investimenti: non è che nelle logiche di convenienza si smette di cercare una soluzione veramente praticabile?
“In questo, la campagna referendaria non dovrebbe cedere all’irrazionalità o alla furbizia. Io penso che la politica possa riprendersi anche una propria dignità se spiega con intelligenza e chiarezza quali sono i problemi che tutti abbiamo davanti. Anche le fonti rinnovabili sono soggette non solo a interessi, ma anche a fattori che non sono piacevoli da trattare: pensiamo, per esempio, alla ‘camorra’, che ‘punta’ sull’eolico in meridione. Questo spiega anche la sfiducia emotiva di molti italiani, nei confronti delle scelte che mettono a rischio la nostra sicurezza, perché se sono insufficienti i controlli e prevale un certo egoismo è chiaro che tutto ciò può generare una certa fragilità culturale. Due mesi fa, davanti alla crisi del nord Africa, tutti quanti dicevano che occorreva tornare di corsa al nucleare. Poi, dopo quanto è capitato in Giappone, si è fatta marcia in dietro. Io ritengo, invece, che quelli che se ne occupano dovrebbero discutere seriamente del perché l’Italia non ha un piano energetico. Discutere sul piano energetico conviene a tutti”.

Quindi, in definitiva, ci si potrebbe anche ritrovare tutti d’accordo sulla scelta di un ‘mix’ energetico?
“Mi sembra che questa volta sono molte le associazioni intervenute nel confronto, anche a favore del nucleare. Questo fa ben sperare che prevalga un’informazione vera piuttosto che una demagogica”.

Insomma, questa è una situazione su cui occorre riflettere al di là delle posizioni ideologiche prestabilite?
“Sì: finalmente c’è la possibilità di discutere una questione vera. Personalmente, ritengo che non occorra più dividersi su questioni secondarie, perché indipendentemente dalla scelta che passerà, siamo tutti vittime dell’arretratezza. L’Italia non colmerà facilmente il proprio ‘gap’ tecnologico nei confronti degli altri Paesi, in questo settore. Dunque, il punto vero è che da noi non si investe sulla ricerca, da qualsiasi parte si voglia guardare la questione. In questo, noi abbiamo un problema che riguarda l’intero Paese e, finalmente, ne possiamo discutere pubblicamente”. (Laici.it)

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy