Replica a: "Sentimenti, ragione e coscienza" (Avvenire del 18 maggio)

Avvenire 18 maggio 2011
Sentimenti, ragione e coscienza

Nella rubrica lettere del Corriere della Sera del 17 maggio, leggo: “In Iran un criminale getta l'acido sul volto di una ragazza, deturpandola e accecandola; la sentenza ha stabilito che anche lui subisca la stessa sorte. Le belle anime di Amnesty si indignano, ma in certi casi la norma «occhio per occhio» rappresenta l'unica riparazione per un gran torto subito; le rieducazione viene dopo”. Se ascoltassi i miei sentimenti, per me quell'uomo meriterebbe non solo di subire la stessa sorte, ma anche d'essere torturato e magari fatto a pezzettini. Ma la ragione mi dice altro. Uno stato non può basare le sue leggi sui sentimenti. Se riteniamo orribile un'azione, non possiamo commettere la stessa azione. Lo stato non può comportarsi da criminale con i criminali. In qualche modo si rende l'azione nefanda meno nefanda, giacché qualcuno può ripeterla, sebbene con uno scopo diverso. Lo stesso discorso vale per la pena di morte. Lo stato non può comportarsi da assassino con gli assassini, anche se diverse sono le ragioni del suo omicidio.
Elisa Merlo

P.S. Il direttore ha eliminato il riferimento al Corriere della Sera. Il titolo riguarda la sua risposta.

Risposta del direttore
Sono sostanzialmente d’accordo con lei, gentile signora. Ma ricordiamoci sempre che tra sentimento e ragione non c’è un muro invalicabile e che esiste un luminoso spazio d’incontro: quello della coscienza. È uno spazio luminoso perché può e deve essere rischiarato da valori che sappiamo essere buoni e giusti. Valori che sono perfettamente razionali eppure sono parte del nostro cuore di donne e di uomini. Ecco perché possiamo dire che ci sono azioni che non diventano meno ingiuste e terribili per il fatto di essere commesse con l’autorizzazione della legge… È per questo che siamo contro la pena di morte. Per questo che ci impegniamo per sanare la piaga dell’aborto. Per questo che lavoriamo decisi a far trionfare – in ogni settore della nostra società e in tutto il mondo – la cultura della vita e del pieno rispetto della insopprimibile dignità di ogni essere umano: ricco o povero, bianco o nero, sano o malato, perfetto o imperfetto… Per questo, infine, vigiliamo per difendere l’obiezione di coscienza dai tentativi che persino nella nostra civile Europa vengono messi in campo per limitarla o, addirittura, per negarla. Altri si distraggono, noi no.

Mia replica
Vorrei replicare con questa mia di qualche anno fa.
L’Unità; Il Tempo; La Stampa 25 gennaio 2007; Liberazione 26 gennaio; con i rispettivi titoli:

Il rispetto della persona viene prima di tutto. Sempre

Vita e persona.Tutela senza danni

Tutela della persona più che la vita

Eutanasia. Il rispetto della persona

Gentile direttore, la tutela della vita e la tutela della persona dovrebbero essere la stessa cosa, dal momento che la vita appartiene alla persona. Tuttavia i due principi possono venire in contrasto qualora si affronti il problema dell'eutanasia, dell'interruzione delle cure terapeutiche, il rifiuto di queste ultime, ecc. Infatti, in questi casi, tutelare la vita ad ogni costo può andare a scapito della persona; e tutelare la persona ad ogni costo può andare a scapito della vita. C'è però un motivo per cui è giusto tener conto sempre di un principio e non dell'altro: se osserviamo il primo principio (tutela della vita), corriamo il rischio di non rispettare la volontà del malato, manifesta o anche ragionevolmente umanamente coscienziosamente presunta. Se osserviamo il secondo principio (tutela della persona) possiamo andare, è vero, a scapito della vita, ma di quale vita? Solo ed unicamente della vita di colui che la rifiuta; di colui al quale in qualche modo la vita già è stata negata. Quindi la tutela della vita ad ogni costo può recare svantaggio a qualcuno; la tutela della persona ad ogni costo non reca svantaggio a nessuno, giacché non va mai contro l'individuo, la sua volontà, ma contro un concetto generico della vita. Il principio da seguire dovrebbe essere il massimo rispetto verso la persona.

Elisa Merlo

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