IL TERRORISMO POLITICO E GLI ATTACCHI ALLA GIUSTIZIA: IN MEMORIA DI ALDO MORO

Il funerale di Aldo Moro. La voce commossa di Papa Paolo VI che affidava a Dio la propria sofferenza per la perdita dell’amico “carissimo, mite, saggio e innocente”; i volti di tanta Realpolitik che dicevano tutto e niente sulla Ragion di Stato dalla quale nessuna preghiera, laica o cristiana, poté dissuaderli. Alla vigilia dell’anniversario della morte del Presidente della Democrazia Cristiana, ritrovato assassinato dalla Brigate Rosse il 9 maggio 1978, quelle immagini sono ancora scolpite nella coscienza civile del Paese. Una morte incomprensibile, perché avvolta dal mistero, che ha segnato la misura del confronto, disumano e incosciente, tra politica e terrorismo, giustizia e guerriglia, democrazia e sovversione. Una vittima che ebbe il torto di cercare il punto di incontro tra diverse istanze sociali, troppo in anticipo sulla visione estremista e ideologizzata degli anni di piombo. E oggi il premier parla di una nuova guerra civile. Ma quale?

Secondo l’analisi di Berlusconi, c’è un conflitto che contrappone lui da un lato e i magistrati brigatisti dall’altro. I magistrati che in silenzio fanno il proprio dovere, subendo senza reagire gli attacchi del Presidente del Consiglio. Una guerra a senso unico, che di civile ha ben poco. Il Capo dello Stato, nella prefazione al volume pubblicato dal Csm in ricordo dei 26 magistrati vittime del terrorismo e della mafia, ne ha ricordato la funzione essenziale per resistere all’ondata dello stragismo politico e averne ragione: il valore di amministrare la giustizia secondo legge e Costituzione contro ogni minaccia e prevaricazione, a costo della stessa vita, di quei magistrati che per Berlusconi sono nemici.

Non sorprende, anche se preoccupa, la continua ricerca di uno scontro con il Presidente della Repubblica da parte del premier: due visioni opposte e inconciliabili dello Stato destinate a convivere a causa di un cortocircuito della politica che minaccia la legittimità istituzionale del Parlamento e la sua capacità di rappresentare pienamente il volere popolare. La nostra è una Repubblica che pone al centro della propria Legge fondamentale l’autonomia dell’ordine giudiziario, baluardo della legalità e garanzia dei principi democratici: per questo, oggetto degli attacchi della maggioranza e del Governo, stolidamente decisi a destituire la magistratura dalle sue funzioni per regalare il potere dell’impunità al premier.

Questo Governo rappresenta un ostacolo allo sviluppo sociale e civile del Paese. Grazie al lavoro dei magistrati e, diciamolo chiaramente, non a quello di certa classe dirigente, fu possibile superare il periodo nero degli anni di piombo. Parte della politica provò ad interpretare e a sciogliere le tensioni e le esasperazioni dell’epoca. Aldo Moro promosse un riformismo moderato, ma sinceramente progressista, che univa la politica di ispirazione cristiana e quella di area socialista: ed è questo che pagò con la sua stessa vita, cioè la ricerca di una sintesi. Oggi la maggioranza cerca lo scontro con chi ostacola la fuga di Berlusconi dai processi e questo sta creando nuovi ed insopportabili attriti sociali e istituzionali. Ricordiamocelo, il 12 e il 13 giugno, che grazie i referendum possiamo difendere un principio vitale: la legge è uguale per tutti.

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