Il reato di clandestinità, introdotto in Italia con il Pacchetto Sicurezza del 2009, è ritenuto in contrasto con la normativa europea sui rimpatri. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sostenendo che le norme degli stati membri, anche quelle in materia penale, non possono compromettere gli obiettivi stabiliti dalle direttive comunitarie.
La decisione della Corte di Strasburgo è stata presa nell’ambito del caso El Dridi, condannato ad un anno di reclusione per essere rimasto in Italia nonostante la notifica di un ordine di allontanamento dal territorio nazionale. La pena prevista in questi casi dalla normativa italiana può variare da uno a quattro anni, ma, secondo Strasburgo, questa norma risulta in contrasto con gli obiettivi prefissati dall’Unione Europea.
La direttiva europea sui rimpatri, infatti, prevede che il fermo dei cittadini di un paese terzo che soggiornano illegalmente in un paese europeo è giustificato “soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente” e comunque “nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto nazionale e internazionale”. I cittadini fermati in vista del rimpatrio non possono soggiornare insieme a detenuti per altri reati, ma soltanto presso i centri di permanenza temporanea, oppure, se il paese non possiede questi centri, possono soggiornare in carcere purchè in luoghi separati dai detenuti ordinari. In ogni caso il trattenimento forzato deve avere la “durata più breve possibile” e comunque non più di 6 mesi (prolungabili per altri 12 mesi in circostanze particolari). La normativa europea prevede che i paesi membri non possano adottare norme più restrittive rispetto a quelle comunitarie (mentre sono ammesse quelle meno severe).
La decisione della Corte di Strasburgo va ad affiancarsi ad un’altra bocciatura in materia di immigrazione: lo scorso giugno, infatti, la Corte Costituzionale italiana aveva respinto la norma che introduceva la clandestinità come aggravante, prevedendo l’aumento della pena fino ad un terzo, giudicandola in contrasto con l’articolo 3 della nostra Costituzione.