PIERFRANCO PELLIZZETTI — Il Berlusconismo oltre Berlusconi

La lunga durata del regime berlusconiano impone una distinzione tra la persona e “la cosa”; tra un omarino ridicolo, eppure in grado di sprigionare letali pulsioni neurovegetative nonché un istinto di sopravvivenza che oltrepassa il limite della devastazione (Silvio Berlusconi), e il fenomeno socio-politico legato al suo nome (il Berlusconismo). Un fenomeno dietro il quale si percepiscono al lavoro vere e proprie intelligenze, seppure perverse.Intendiamoci, intelligenze tipiche di un Paese che da tempo ha perduto la capacità di elaborare pensiero originale e ormai si dedica all’importazione e al riciclaggio delle idee altrui. Ma tant’è – come si diceva – beati monoculi in terra caecorum… Dunque, idee e modelli culturali in larga misura provenienti dai laboratori nordamericani; si tratti di analisi socio-economiche come della produzione di immaginari. Nel nostro caso, in politica.

Se ne ebbe una prima avvisaglia agli albori di Forza Italia, quando il sondaggista allora di corte Luigi Crespi creò la gag del “Patto con gli italiani” che Berlusconi mise in scena nella trasmissione Porta a porta di Bruno Vespa. Per chi aveva un minimo di conoscenza del dibattito pubblico made in Usa, invereconda scopiazzatura del “Patto con l’America” allestito dal leader della destra repubblicana Newt Gingrich contro Bill Clinton. Che – invece – funzionò alla grande in questa remota (e dunque disinformata) provincia ai margini dell’impero, quale ormai si è ridotta a essere l’Italia.

Sulla scia del facile successo dell’iniziativa plagiara, gradatamente prese corpo una strategia bassamente “americanista” articolata in tre ambiti:

A. di legittimazione;

B. di definizione delle priorità d’agenda;

C. di coalizione sociale.

Ambiti diversi quanto sinergicamente funzionali al consolidamento dell’egemonia berlusconiana, in assenza di qualsivoglia contro-strategia che le si opponesse.

Nel caso della “legittimazione” si osservi come in questi anni sia stato sdoganato qualcosa di peggio (se era possibile) del neo-post-fascismo. Si è accreditata la volgarizzazione populistica dei criteri di apprezzabilità: l’imposizione dell’essere come la gente quale presunta credenziale di democraticità, che abbassa le soglie del giudizio al livello di un ipotetico standard ottimale; coincidente con il tasso di incultura e rozzezza proprio del target televisivo più becero. Dichiarato spontaneo, dunque alternativo all’artificiosità dei cosiddetti “salotti”, proprio in quanto becero.

Operazione che apre falle devastanti nelle dighe della convivenza civile, travolte dalle ondate di maleducazione e incultura, e sostituisce al modello della rappresentanza come selezione di “un corpo scelto di cittadini”, caro ai Padri Fondatori della democrazia in America, con l’irruzione di un personale clonato sull’ideal tipo del Capo: la gens berlusconiana, fiera della propria ignoranza e dominata dalla possessività. Così facendo si è sostituito il degno all’indegno, si sono tranquillamente calpestati i fondamenti repubblicani del patto nazionale. La Carta Costituzionale è diventata reperto archeologico da mandare in soffitta (non più grundnorm fondativa della legalità ma impiccio al fare) e si è venuti equiparando la Resistenza antifascista all’ignominia di Salò (come cancellazione dei criteri distintivi fondati su valori).

Per quanto riguarda i metri di valutazione nell’azione pubblica (punto “B”), una tambureggiante opera di comunicazione massmediatica è riuscita a modificare le percezioni generali dell’urgenza e di importanza. Così facendo, nel Paese in profonda crisi economica e sociale, afflitto da problemi demografici legati all’inarrestabile invecchiamento della popolazione, prioritari sono diventati i guai giudiziari del Capo e le fobie xenofobe derivanti dall’incapacità di comprendere le trasformazioni in atto. Per dare una patina di rispettabilità a istanze intrinsecamente regressive, si è inventata una neolingua che disconnette le parole dal loro significato, manipolando ad arte il discorso pubblico. Basti per tutti l’esempio del termine “federalismo”, che non è più un principio di coordinamento ma il semplice grimaldello per scassinare la cassa del denaro pubblico e la creazione di potentati territoriali nella rifeudalizzazione dello Stato nazionale.

Infine – punto “C” – la creazione di un blocco elettorale su cui poggiare stabilmente gli equilibri politici. Quell’aggregazione tra “gli abbienti” e gli “impauriti”, tra la neoborghesia arricchita recalcitrante alla redistribuzione fiscale e la piccola gente timorosa del futuro, di cui tante volte si è parlato; cementata dalla difesa del privilegio che incontra l’indistinto ansiogeno diffuso dalla cosiddetta “politica della paura” (l’Altro come minaccia). Operazione con cui la Destra americana ha portato il proprio attacco alla storica alleanza newdealistica: anemizzare lo stato sociale rendendo sempre più difficile la produzione di quei beni pubblici fruiti in prevalenza dai ceti medi (e – quindi – orientati al voto di sinistra).

Marchingegni volpini che la stessa opposizione accredita nei suoi aspetti mistifcatorii al fine di simulare un inesistente campo di battaglia parlamentare che ne certifichi la propria diversità dal ceto politico formalmente contrapposto. E qui si viene al punto politico: se il Berlusconismo è una strategia, per batterla non è sufficiente sperare che scandali giudiziari espellano Berlusconi dal campo di gioco. Urgono riflessioni alte, in grado di proporre un’idea di convivenza alternativa. Al limite un’antropologia.

Pierfranco Pellizzetti

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