Consiglio di Stato: se la moglie è ammalata il dipendente pubblico dev’essere trasferito se la deve assistere dopo l’intervento anti-cancro
Il principio vale anche per il militare che dev’essere avvicinato a casa anche se manca il posto
Con una recente sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato, che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta, viene chiarito un principio stabilito dalla nota legge 104 del 1992 secondo cui il dipendente pubblico ha diritto ad essere trasferito se la moglie è ammalata ed il marito è costretto ad assisterla dopo un intervento chirurgico per la cura di un cancro.
Tale principio, secondo i giudici di Palazzo Spada, nonostante i rigidi criteri della disciplina militare, è valido anche per i militari a condizione che il lavoratore sia l’unica persona che può assisterla sia moralmente che materialmente. in senso morale e materiale.
Nonostante lo status, infatti, il militare professionista, ha pieno diritto affinché la sua vicenda lavorativa venga verificata in concreto ed alla luce dei principi ispiratori della citata legge 104/92, che obbligano anche le pubbliche amministrazione a tutelare le situazioni di assistenza già esistenti, la cui interruzione potrebbe creare un pregiudizio allo stato di fatto favorevole al disabile. E così come avviene per ogni categoria di dipendenti pubblici, se non vi è la possibilità di reperire un posto vacante nella sede di residenza del parente da assistere, al militare che ne abbia fatto richiesta ed in possesso dei requisiti deve essere riconosciuta una corsia preferenziale nell’avvicinamento se si dovesse verificare un vuoto nell’organico.
Anche se anche i supremi giudici amministrativi prendono atto che le richieste di trasferimento ex articolo 33 comma 5 della legge 104/92 sono spesso utilizzate come escamotage per cercare avvicinamenti al luogo di origine la P.A. è sempre dotata del potere discrezionale di valutare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza del dipendente. Nel caso di specie il criterio della «continuità» dell’assistenza risulta essere stato rispettato dal sottufficiale il quale usufruendo di licenze e congedi ha provato di aver costantemente affiancato la moglie nel corso delle visite periodiche e delle terapie connesse, assicurando una costante assistenza materiale e psicologica durante la malattia. Ma dopo aver usufruito di tutti i permessi e dei periodi di riposo possibile è costretto comunque a ritornare nella sede di lavoro che nella fattispecie dista ben trecento chilometri da quella di residenza.
I giudici di Palazzo Spada, riconoscendo le ragioni del militare hanno quindi rigettato il ricorso del Ministero della Difesa che si era opposto alla sentenza del T.A.R. che aveva accolto il ricorso del militare contro il diniego della P.A., anche perché il criterio dell’indisponibilità assoluta di altri parenti all’assistenza della signora operata dopo un tumore non può essere interpretato in modo troppo rigoroso, altrimenti si vanificherebbe la tutela offerta dal legislatore ai soggetti portatori di handicap.