Testimonianza di un Italiano. Questa era la Libia che ci veniva raccontata negli anni in cui ero bambino

Testimonianza di un Italiano. Questa era la Libia che ci veniva raccontata negli anni in cui ero bambino

Sono stato in Libia, da lavoratore, fino al 21 febbraio scorso quando, costretto dagli eventi, ho

dovuto abbandonarla con l'ultimo volo di linea Alitalia.

Ho avuto modo di conoscere gran parte del Paese, da Tripoli a Bengasi, a Ras Lanuf a

Marsa El Brega a Gadames, non frequentando gli ambienti dorati, ovattati e distaccati dei

grandi alberghi, ma vivendo da lavoratore tra lavoratori e a quotidiano contatto con ambienti

popolari, sempre riscontrando cordialità e sentimenti di amicizia per certi versi inaspettati e sorprendenti.

Non era raro per strada sentirsi chiedere di poter fare assieme una fotografia da chi si

accorgeva di stare incrociando degli italiani, peraltro numerosissimi anche per le tantissime

imprese che vi operavano, dalle più grandi (Eni, Finmeccanica, Impregilo ecc.) alle più piccole

(infissi, sanitari, rubinetterie, arredamenti ecc.), in un ambiente favorevolissimo, direi familiare.

Da quello che ho potuto constatare il tenore di vita libico era abbastanza soddisfacente: il

pane veniva praticamente regalato, 10 uova costavano l'equivalente di 1 euro, 1 kg di pesce

spada cira 5 euro, un litro di benzina circa 10 centesimi di euro; la corrente elettrica era di

fatto gratuita; decine e decine di migliaia di alloggi già costruiti e ancora in costruzione per

garantire una casa a tutti (150-200 m2 ad alloggio); l'acqua potabile portata dal deserto già

in quasi tutte le città con un'opera ciclopica, in via di completamento, chiamata «grande fiume»;

era stata avviata la costruzione della ferrovia ad alta velocità e appaltato il primo lotto tra Bengasi

e il confine egiziano della modernissima autostrada inserita nell'accordo con l'Italia; tutti

erano dotati di cellulari, il costo delle chiamate era irrisorio, la televisione satellitare era

presente sostanzialmente in ogni famiglia e nessun programma era soggetto a oscuramento,

così come internet alla portata di tutti, con ogni sito accessibile, compreso i social

network (Facebook e Twitter), Skype e la comunicazione a mezzo e-mail.

Dalla fine dell'embargo la situazione, anche «democratica», era migliorata tantissimo e il

trend era decisamente positivo: i libici erano liberi di andare all'estero e rientrare a proprio

piacimento e un reddito era sostanzialmente garantito a tutti.

Quando sono scoppiati i primi disordini, la sensazione che tutti lì abbiamo avuto è stata

quella che qualcuno stava fomentando rivalità mai sopite tra la regione di Bengasi e la Tripolitania,

così come le notizie che rilanciavano le varie emittenti satellitari apparivano palesemente gonfiate

quando non addirittura destituite da ogni fondamento: fosse comuni, bombardamenti di aerei sui dimostranti.

Certamente dal punto di vista democratico i margini di miglioramento non saranno

stati trascurabili, del resto come in tanti altri paesi come l'Arabia Saudita, la Cina, il Pakistan,

la Siria, gli Emirati Arabi, il Sudan, lo Yemen, la Nigeria ecc. ecc_ e forse anche un po' da noi!

Pertanto prima o poi qualcuno dovrà spiegare perché in questi paesi non si interviene_

Sono triste e amareggiato al pensiero di come sarò considerato dagli amici libici che ho

lasciato laggiù dopo questa scellerata decisione di stupidissimo interventismo!

Guido Nardo, ingegnere Gruppo Eni

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