Nell’isola delle promesse

E’bravo a fare promesse Berlusconi, meno a mantenerle. Quella di liberare l'isola al più presto, è solo una delle garanzie fatta ai lampedusani, rincarata da un altro annuncio: “Chiederemo per l'isola il Nobel per la pace”, E non si è fermato qui, ma reduce dal vertice notturno con il ministro Tremonti, il presidente del Consiglio ha comunicato la volontà del governo di concedere a Lampedusa “una 'moratoria fiscale, previdenziale e bancaria' finalizzata a trasformarla in “zona franca”. Conosciamo bene noi aquilani le promesse del Cavaliere, tanto grandi quanto campate in aria, tanto reboanti, quanto vanificate o dimenticate nei fatti. Ma gli isolani abboccano, come avevamo abboccato noi, l’estate di 2 anni fa, al tempo del G8 e delle magniloquenti prese di posizione, con dentiere e denaro che ancora restano eteree, metafisiche promesse. È arrivato all'aeroporto dell'isola poco dopo le 13:20, abbigliamento quasi informale (giacca su camicia blu, ma niente cravatta) e una valigia carica di promesse ed io ho rivissuto un dejia vu ed il cuore mi si è stretto, pensando a quanta parte dei quelle promesse sarà disattesa. Il leader ha detto, con la solita enfasi convincente, che il governo si impegna a rilanciare il turismo isolano e lo farà anche attraverso “servizi in tv pro isola”, incaricando di ciò “sia Rai che Mediaset”. E poi l'ultima novità. “Io stesso – ha annunciato trionfale – mi ci sono comprato una villa”, con lo stesso stilema di quando faceva trapelare l’idea di prendere alloggio a L’Aquila, subito dopo il terremoto. Ma, almeno in questo, è stato veritiero e la notte scorsa, per una cifra “inferiore ai due milioni di euro”, ha comperato su internet una villa a Cala Francese, se non abbiamo perso il conto, la sua trentesima abitazione. Non nasconde l'ironia Pierluigi Bersani, commentando le parole del presidente del Consiglio e dice: “Il miracolo continua…”, aggiungendo: “Mi sono stufato di questi show”, che comunque, dobbiamo dolosamente constatare, ottiene puntualmente l’effetto desiderato. Insieme a Berlusconi c’erano Angelino Alfano, Ministro della giustizia e il Presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, che stufo ormai della situazione, come del resto tutti gli altri, pretende al più presto un piano da parte del governo per fronteggiare la situazione qualora vi fossero altri sbarchi, ma più che altro, pretende garanzie per portare l’isola ad una normalità che rimanga stabile. Anche a lui, pubblicamente, ha risposto Berlusconi, dichiarando che sono a buon punto le trattative con la Tunisia per il rimpatrio di una parte di immigrati, almeno 1500, mentre si continua ad attendere anche l’aiuto dell’Europa, anche perchè, come già annunciato in precedenza, qualora non dovesse esserci accordo consensuale, si comincerà a pensare al rimpatrio forzato dei clandestini stessi (anche per dar seguito al secco quanto volgare commento di Bossi). “Ho il vezzo e l'abitudine i risolvere i problemi – ha sottolineato il presidente del Consiglio – e fino a ieri sera non avevo una soluzione chiara. Ora, dopo consultazioni con diversi ministri e con le autorità della Tunisia, abbiamo un piano che vengo a raccontarvi e che è scattato ieri a mezzanotte. E' un piano di liberazione dell'isola dagli immigrati: ci sono 6 navi, e si tratta per una settima, con una capienza di 10mila passeggeri”. Aveva detto la stessa cosa ad agosto 2009, sotto il Gran Sasso e sopra le macerie de L’Aquila, ma qualcosa quella volta non aveva funzionato e le macerie sono ancora lì, solo messe meno in vista, immobili come la grande montagna. Stamani Berlusconi ha spiegato che gli immigrati saranno “portati in Italia, non solo in Sicilia ma anche in altre regioni” e ha assicurato che “libereremo anche il Centro d'accoglienza e una nave sarà sempre qui per trasferire i nuovi arrivati”. Lampedusa, ha garantito il premier, “tornerà a essere un paradiso”, anche grazie a “un piano colore da attivare anche qui: per intenderci, vorrei che l'isola avesse i colori di Portofino”. Il presidente del Consiglio ha spiegato di aver visto, “venendo qui, un degrado significativo: muri scrostati e niente verde, al contrario nella verdissima isola qui accanto, Linosa. Un piano colore lo ho già realizzato in un paese della Lombardia, e per Lampedusa propongo lo stesso modello, arredando le strade con adeguata illuminazione e con ciottolo. E' necessario anche un piano di rimboschimento”. Speriamo non abbia in mente lo stesso abbellimento cromatico ed architettonico del progetto C.A.S.E., perché più che a Portofino, poi si penserebbe ad una succursale di Calcutta o Nairobi. In base alle dirette esperiene dal “fondo del cratere”, mi permetto di suggerire ai lampedusani entuiasti, di non lasciarsi convincere da semplici promesse verbali, altrimenti quando il circo mediatico sara' smontato, all'isola resteranno solo i problemi e, forse nel 2013, una figurante di Ragusa, fingendosi di Lampedusa, parlerà, a Forum, di un governo solerte e di isolani falsi, oziosi, profittatori ed ingrati. Ciò che davvero deve costituire il barometro autentico della situazione, è l’esclusione, ieri, dell’Italia dal pre-vertice di Londra, tra Barack Obama, Nicolas Sarkozy, David Cameron e Angela Merkel, che la dice lunga su quanta fiducia e considerazione il nostro governo raccoglie in ambito internazionale. “Nessuno schiaffo” al nostro Paese, si è affrettato a precisare il ministro degli Esteri Franco Frattini, che nelle stesse ore in cui si svolgeva il vertice a quattro, partecipava alla trasmissione Otto e Mezzo su La7. L'Italia, ha ricordato il titolare della Farnesina, ha il comando della missione navale, ospita a Napoli, il comando Nato delle operazioni ed è nel ristretto gruppo di contatto sulla Libia. Ma, naturalmente, non ha convinto nessuno. L’ipotesi più credibile è che la Comunità Internazionale non sia disposta a fermarsi prima di aver deposto, catturato e processato, Gheddafi; un attivismo che, se dovesse realizzarsi, implicherebbe la volontà di non arrivare ad un accordo con il raìs e, dunque, la possibilità per Francia ed Inghilterra di operare senza la collaborazione attiva dell’Italia, con tanto di benedizione da parte di USA e Germania. Ieri, all’assemblea generale delle Nazioni unite, Giorgio Napolitano aveva detto che: ”L’intervento in Libia non significa pretendere di esportare uno specifico modello di democrazia ma promuovere e proteggere i diritti fondamentali, civili e politici e le libertà religiose, come pre-condizione per l’autonoma realizzazione di sistemi democratici”. Parole apprezzate ma che non possono in alcun modo compensare il comportamento ondivago e titubante di un governo che, fra l’altro, gode sempre meno di credito internazionale.

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