Sergio Velluti: “Sul nucleare è necessaria una scelta razionale”

di Ilaria Cordì

Dopo i recenti fatti di Fukushima, in cui il mondo si è ritrovato di fronte a una nuova e imprevedibile catastrofe ambientale, il tema della sicurezza del nostro approvvigionamento energetico è tornato fortemente alla ribalta. Per approfondire tale delicata questione, anche in vista del referendum previsto per il prossimo mese di giugno, abbiamo perciò deciso di intervistare il dottor Sergio Velluti, coordinatore della Regione Lazio di ‘FareAmbiente’ – Movimento ecologico europeo, su un tema che ormai divide l’Italia da molto tempo: l’energia nucleare e le sue alternative.

Sergio Velluti, l’energia nucleare rappresenta una scelta obbligata per l’Italia?
“Se diamo un’occhiata alla mappa della distribuzione energetica in Europa notiamo immediatamente che l’Italia è l’unico Paese ad ‘assenza totale’ di centrali nucleari. Tuttavia, noi siamo circondati da Francia, Svizzera, Austria e Slovenia i quali, oltre a ‘pullulare’ di centrali nucleari, sono ‘Paesi-clienti’ o fornitori, come ha ricordato recentemente in un’intervista anche l’amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, che ha precisato come l’Italia, oltre ad acquistare energia nucleare dalla Francia o dalla Svizzera, sia fornitrice, proprio tramite Enel, di tecnologia nucleare verso alcuni Paesi europei quali la Slovacchia o la Svizzera. Quindi, non si tratta di essere a favore o contro il nucleare, ma di essere coerenti con una realtà: noi italiani dipendiamo energicamente da petrolio importato, da gas importato e da energia nucleare importata”.

Nel caso vincesse il ‘Sì’ al nucleare, l’Italia è tecnologicamente in grado di costruire centrali termonucleari che garantiscano livelli di sicurezza assoluti?
“La salute è una priorità assoluta e su questo non c’è chi è più o meno sensibile: lo siamo tutti. Ma le centrali nucleari di terza e quarta generazione sono assolutamente sicure, come sottolineato dalla Francia, la quale sottopone le proprie centrali a continui ‘stress-test’. Nel caso vincesse non il ‘Sì’ ma il ‘No’, il programma del Governo italiano sul nucleare prevede l’acquisizione di centrali di terza generazione dalla Francia. La tecnologia sta infatti offrendo livelli di sicurezza sempre maggiori, anche se in tempi comunque lunghi. A tal proposito, vorrei segnalare due particolari: se avete occasione di seguire la stampa americana, potrete leggere di centrali nucleari “portatili” grandi come frigoriferi. Questo a significare che la tecnologia deve affrontare, rinnovando, il livello di rischio delle vecchie centrali oggi presenti, come per esempio quelle che stanno disseminando panico e pericoli in Giappone”.

L’obiezione più fondata al nucleare sembra essere quella dello smaltimento delle scorie, con tempi di decadimento che vanno dai 200 ai 24 mila anni: come si supera questo problema?
“Non credo che lo smaltimento delle scorie sia l’obiezione più fondata. Sicuramente è, erroneamente, quella in cima alle preoccupazioni della gente. Dunque, vi ringrazio per questa domanda, perché mi da l’opportunità di precisare e di sfatare un luogo comune. Se, infatti, ci prendessimo la ‘briga’ di osservare senza prevenzioni la ‘casistica’, noteremmo come gli incidenti più gravi, compreso l’ultimo in Giappone, siano sempre stati determinati dalla gestione dei reattori nucleari, che sono sistemi complessi, funzionanti ad alta pressione e temperatura e che, per questo, richiedono un controllo continuo e rigorosissimo, per i quali la sicurezza si misura in termini probabilistici. Ma ciò significa che la sicurezza è concettualmente relativa, mai assoluta. I rifiuti radioattivi o ‘scorie’, una volta condizionati e trattati per lo smaltimento sono costituiti da blocchi di materiale solido, durevole, chimicamente inerte (calcestruzzo o vetro), nei quali la sostanza radioattiva è completamente isolata dall’ambiente esterno. Quindi, l’isolamento dall’ambiente esterno è garantito in tutte le condizioni possibili e immaginabili. Vi porto un esempio di quello che l’errata informazione e un certo ‘terrorismo mediatico’ sono capaci di produrre: a Scanzano Jonico, decine di migliaia di persone, gridando all’inquinamento delle arance per via di un sito deposito di scorie lì localizzato, scesero in piazza per il paventato arrivo di questi blocchi di materiale inerte. Ma il sospetto è che se, invece, fosse stata proposta la realizzazione di una centrale nucleare, forse la protesta non avrebbe avuto quella portata o non ci sarebbe neanche stata. Allora: qual è il rischio che la gente – insisto: sempre scarsamente o male informata – associa ai siti di scorie nucleari? Evidentemente, la paura che i ‘rifiuti-scorie’, una volta collocati in un deposito, tramite il presunto rilascio di contaminanti radioattivi possano inquinare aria, acqua, terra. In ogni caso, non solo i contenitori sono qualificati e accuratamente selezionati per tale impiego, come già affermato poc’anzi, ma anche le modalità con cui vengono messi a dimora devono normativamente offrire tutte le garanzie d’isolamento totale dall’ambiente circostante, in condizioni severissime e per periodi lunghissimi (la Finlandia ha ‘siti-deposito’ delle scorie per la durata di 100 mila anni). Sarei tentato di proseguire a lungo, ma lasciatemi terminare dicendo che il campo di battaglia delle scorie nucleari ha più radici politico-ideologiche che tecnico-scientifiche”.

Parliamo di energie alternative: perché ricorrere al nucleare quando si possono scegliere fonti energetiche meno dannose, anche se incostanti?
“Se vogliamo parlare di energie alternative, vi dico subito che il motivo per cui parliamo di energia nucleare è che le prime sono insufficienti e, infatti, gli esperti di energia parlano di ‘mix’ energetico, nel senso che il nucleare rappresenta una delle fonti energetiche che ci permetterà, insieme all’eolico e al fotovoltaico, di convertire il nostro sistema energetico, il quale – troppo spesso lo dimentichiamo – oggi è concentrato sul petrolio, sul gas e sul metano, che di vittime ne seminano a migliaia nel nostro Paese nonostante, chissà perché, su questo l’attenzione dei media sia scarsissima. Vorrei inoltre consigliare di leggere le dichiarazioni recentissime di Margherita Hack, una delle nostre più brillanti e inattaccabili scienziate, un’ultraottantenne che non può certo esser considerata arruolata né dalle destre, né dalle sinistre, né tantomeno da ‘lobbies’ dell’energia. Ebbene, la Hack afferma che il prossimo referendum sul nucleare può non servire a nulla perché esso è già segnato dall’emotività collettiva, mentre invece bisognerebbe considerare con razionalità quanto successo in Giappone per informare la gente sui dati reali e sui comportamenti in merito al nucleare, il quale, se visto con le lenti della scienza, è più sicuro della altre realtà energetiche. Aggiungo che il prossimo referendum di giugno sul nucleare (e non solo quello sul nucleare) può considerarsi ‘drogato’ da un’informazione che amplifica ed esaspera gli effetti di questa sventura drammatica, mentre sorvola molto sulle cause”.

Andiamo all’estero: all’indomani dell’allarme giapponese alcuni premier europei hanno rivisto le loro posizioni in merito al nucleare. Tutto ciò denota reale paura, oppure si tratta del solito ‘opportunismo del giorno dopo’?
“Tenete presente che i politici (non lo dico io, ma un certo Machiavelli) molto spesso fanno scelte sulla base delle utilità e le incombenti elezioni sono una bella opportunità per le destre, per le sinistre, per i Governi e per le opposizioni. Certo è che le vicende del Giappone devono indurre tutti a una massima attenzione e a un approfondimento non opportunistico, bensì scientifico, del nucleare, senza speculazioni, considerando costi e benefici, luci e ombre. E questo può avvenire solo sulla base di una corretta informazione”.

In alcuni progetti, Vincenzo Pepe, presidente di ‘FareAmbiente’, ha creato il binomio cultura-ambiente: ci può spiegare come questa filosofia si ‘sposa’ con l’ambientalismo?
“Il binomio cultura-ambiente non l’ho certo inventato io: è nella realtà delle cose e delle persone. Fate una piccola indagine e scoprirete che nei Paesi virtualmente ecologisti, il processo di crescita e consapevolezza nel rapporto con l’ambiente cammina sempre di pari passo con l’educazione ambientale diffusa, con l’informazione corretta e, soprattutto, con il coinvolgimento della gente nei progetti e nei programmi d’intervento ambientalista. Al centro e alla base di molte realtà c’è quasi sempre la corretta o scorretta mentalità delle persone e della gente. Il terremoto e lo tsunami non – ripeto non – possono dipendere dalla mentalità delle persone, ma la corretta gestione delle conseguenze e dei danni causati quelli sì. E mi sembra che i Giapponesi, con la loro compostezza, dignità e operosità nel rialzarsi da una tale sciagura, stiano dando a tutti un bell’esempio di cosa significhi la cultura opposta a un disastro ambientale”. (Laici.it)

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