Dallas, Texas
Circa dieci giorni fa il braccio di ferro nel Wisconsin tra i congressisti democratici e quelli repubblicani, con i democratici che si erano rifugiati per tre settimane nel vicino Stato dell’Illinois pur di rendersi irreperibili e far mancare così il quorum necessario alla maggioranza repubblicana per votare i tagli al bilancio e le nuove norme antisindacali, si è concluso con la sconfitta dei democratici, perché alla fine i repubblicani avevano deciso di rispondere allo stratagemma dei democratici con un altro stratagemma: togliere dalla nuova legge tutto ciò che comportava interventi sulle spese, e poter così deliberare anche in assenza del quorum.
Per qualche giorno i repubblicani hanno gioito e festeggiato la contrastata vittoria del governatore Scott Walker, ma non poteva certo mancare la dura reazione del sindacato dei dipendenti pubblici, colpito duramente dalla nuova norma legislativa, e nemmeno quella dei tradizionali alleati politici del sindacato, ovvero i democratici.
I primi protestano nel modo tradizionale, ovvero con manifestazioni di piazza e con scioperi di protesta, i secondi impostano una forte campagna di sensibilizzazione dell’elettorato per mettere in luce il vero obbiettivo dei repubblicani: cioè approvare una legge che introduce esclusivamente norme antisindacali (rendendo più difficile l’iscrizione al sindacato) senza portare alcun beneficio diretto al deficit di bilancio dello Stato, che doveva essere la ragione prima della nuova legge.
Adesso però entra in campo nella disputa un terzo soggetto non meno importante, un giudice della Contea di Dane, competente territorialmente per le dispute congressuali.
Il giudice, una donna di nome Maryann Sumi, è intervenuta su richiesta del procuratore generale dello Stato del Wisconsin, Ismael Ozanne (un democratico), che accusa i senatori repubblicani di aver preso quella decisione senza aver osservato il necessario tempo di preavviso (almeno 24 ore) dal momento in cui è stato proposto.
In questo modo i senatori democratici, che erano tutti meno uno nell’Illinois per boicottare la precedente proposta di legge, non hanno nemmeno avuto il tempo di rientrare per partecipare alla votazione. Avrebbero perso comunque, perché sono in minoranza, ma le regole sono regole, e se pure l’approvazione di quella nuova proposta legislativa non richiedeva il quorum, cioè un numero minimo di senatori presenti in aula per deliberare, c’era però la norma che ogni nuova proposta legislativa deve essere comunicata a tutti i senatori almeno 24 ore prima di essere portata in votazione. Ciò non è stato fatto, e ha aperto la strada alla decisione del giudice Sumi, che inibendo la deliberazione del Senato per vizio di forma, riporta tutto al punto di partenza.
Ora però, sia da una parte che dall’altra, molti sperano che non si riparta da un nuovo braccio di ferro tra i due partiti e che si trovi finalmente una linea d’intesa (bipartisan) per avviare il risanamento del bilancio senza che la parte che si trova in maggioranza ne approfitti per far passare norme che hanno palesemente lo scopo primario di danneggiare la controparte politica e il sindacato dei lavoratori.
Su questa linea sembra trovarsi anche il giornalista Allan Sloan, della rivista “Fortune” (attualmente in edicola), il quale mette a confronto la politica di due altri Stati fortemente indebitati, quello di New York, guidato ora dal democratico neo governatore Andrew Cuomo (figlio del noto Mario Cuomo, anch’egli governatore dello Stato di New York per 12 anni dal 1983 al 1994) e quello del New Jersey, Chris Christie, repubblicano.
Secondo Sloan, sia Cuomo che Christie, pur essendo di opposto schieramento politico, praticano sostanzialmente la medesima politica di rientro dai debiti facendo tagli di spesa a più non posso per avviare una politica di bilancio più responsabile.
Ciò che più conta (per Sloan, beninteso) è che sia l’uno che l’altro vedono il taglio delle spese come unica soluzione praticabile. Nessuno dei due infatti si azzarda nemmeno a sondare la possibilità di un aumento delle tasse.
Sloan gongola piuttosto apertamente nel constatare questo, poi però si accorge che in questo modo la scure dei sacrifici cala sempre sugli stessi soggetti, e forse prova un po’ vergogna. Ai ricchi d’America infatti è stato evitato di pagare più tasse persino con una legge apposita approvata in tutta fretta a fine 2010.
Senza quella legge, che proroga per altri due anni la norma che introduceva sostanziosi tagli fiscali voluta da Bush nel 2001, i ricchi americani avrebbero dovuto pagare più tasse automaticamente, dopo 10 anni di generosa benevolenza. Invece a loro è stato evitato anche questo piccolo sacrificio di giustizia sociale. (Col pretesto che avrebbe pesato sulle politiche di rilancio dell’economia che questi ricchi imprenditori possono avviare con quei soldi in più. Questa però è solo una favola per i gonzi, perché in quel modo non fanno il regalo solo agli imprenditori ma anche e soprattutto agli speculatori e ai superbanchieri. Mentre il reinvestimento delle maggiori tasse verso gli incentivi alle imprese e ai ceti medio-bassi della popolazione andrebbero molto più direttamente a sostegno dei consumi e quindi dell’economia).
Ma il giornalista di Fortune si riprende subito dal pericoloso impulso di verità e si aggrappa al realismo.
Sì, dice lui, è vero che i ricchi vengono privilegiati da queste norme troppo sbilanciate a loro favore, ma bisogna essere realisti, in un mondo in cui la mobilità del denaro (modo elegante di definire la speculazione) è rapidissima, alzare le tasse è pericoloso. Fanno bene i due governatori a non provarci.
Sloan farebbe bene a spiegare però a chi fanno bene.
Una sincera spiegazione metterebbe in luce un sistema profondamente ingiusto. Un sistema dove i politici e gli speculatori hanno fatto il debito, ma sono solo i lavoratori, gli imprenditori e i risparmiatori a doverlo pagare.
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=7210