La lezione di storia della Brigliadori
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La lezione di storia della Brigliadori
Se adesso mi mettessi a scrivere dell'eliminazione dall'Isola dei famosi di Walter Garibaldi, pronipote adottivo dell'eroe dei due mondi, proprio nell'anno dei festeggiamenti dell'Unità d'Italia, sul Forum o per posta elettronica verrei sommerso da un'unica protesta, così riassumibile: l'Italia è migliore di quella rappresentata in tv. Dove regna solo la volgarità (i reality), la morbosità (tutti i programmi che si occupano di omicidi), la rissosità (i talk politici). Spero sia così, non ho mai creduto alla teoria della tv come specchio della realtà; del resto, i dati ci confermano che almeno metà della popolazione italiana la sera non guarda la tv.
Eleonora Brigliadori (LaPresse)
È una metà che andrà a teatro, guarderà qualche film importante, leggerà romanzi impegnati, si appassionerà a discussioni familiari di grande interesse; spero sia così. Qualcuno insinua che, è vero, non si può dare la colpa di tutte le nefandezze alla tv, anche se ormai molti comportamenti pubblici, persino molte sedute del Parlamento assomigliano a gazzarre televisive.
Eppure Eleonora Brigliadori, quella «spaccamaroni» della Brigliadori, una che non sta mai zitta neanche se le tappassero la bocca, l'altra sera, sull'Isola, ha fatto un discorsino niente male: ha spiegato agli altri naufraghi che la storia procede solo quando qualcuno prende decisioni importanti, spesso contro il parere della maggioranza (Raidue, mercoledì, ore 21.10). Insomma, se continuano a esserci milioni d'italiani che guardano certi programmi (spesso la maggioranza dell'audience televisiva) e non c'è nessuno che prenda decisioni importanti, la storia della tv non procederà mai, anzi sarà condannata a una regressione continua, continuerà a rappresentare quel peggio che piace molto alla maggioranza. A chi tocca prendere decisioni impopolari? Alle élite che si occupano di tv? Al Servizio pubblico? A qualche coraggioso solitario? Ecco una bella discussione che ci accompagnerà nei prossimi mesi.
Aldo Grasso (da il Corriere della Sera)
11 marzo 2011
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